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soccumbere nelle grandi imprese non era sciagura. Ma, per elevarsi a tanta nobiltá di pensieri, era necessario che il romano credesse, e fermamente credesse, che egli non poteva solTrir verun male, rimanendo salva Roma. E lo credeva fermamente, vedendo che egli non poteva avere veruna felicitá, veruna grandezza se non accrescendo la grandezza e la felicitá della patria comune. Quindi un romano non si elevava se non per importanti servigi resi alla patria, e le stesse gare, che suscitava spesso spesso l’ambizione de’ privati o di ceti, non aveano altro fine che quello di far il piú gran bene alla repubblica. I rivali contendevansi a forza di benefici il di lei favore. Un romano in cittá non conosceva che la patria e le leggi ; un romano nel campo non conosceva che la patria ed il capitano: nel campo e nella cittá non obbliava mai il suo giuramento, i suoi numi, i costumi de’ suoi maggiori. La patria diveniva di giorno in giorno piu grande; ma la grandezza della patria era fondata sulla virtú de’ suoi cittadini. Il romano non chiedeva mai del numero de’ suoi nemici: se avesse pensato in tal modo, di rado avrebbe potuto misurarsi con i popoli suoi confinanti, i quali eran tutti piú numerosi di lui. Roma avrebbe finito oscuramente, simile a tutte quelle altre cittá le quali hanno per ragion fondamentale della loro politica condotta il «come si potrebbe far questo?».

— I.a repubblica — diceva il piú virtuoso de’ romani — si accresce osando, operando, non giá con quei consigli che i timidi chiaman «cauti». — Insomma, i romani avean comprese due veritá, dalle quali dipende la salute di ogni Stato, cioè che la sola virtú rende grandi gli uomini e le cittá, e che senza la virtú non possono né le cittá né gli uomini essere grandi mai. Ed in conseguenza essi aveano la virtú e la fiducia nella virtú; potevano, perché credevano di potere. il Analizziamo quel romano che ci abbiam proposto come modello e vediamo di quali elementi il suo spirito pubblico era composto.