Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/121

XIV

LO SPIRITO PUBBLICO

I

Questo nome non è della Crusca, ma non perciò la cosa non esiste. Per questo spirito nazioni picciolissinie sono divenute grandi: Io spirito è mancato e le grandissime nazioni sono divenute di nuovo picciolissime. Questo spirito ha animato a vicenda i persiani, gli egizi, i fenici, i greci, i cartaginesi, gl’italiani: simile al sole, esso fa il giro della terra, portando con sé il calore e la vita, e lasciando il languore e la notte nelle regioni che abbandona.

Forse il definir questo spirito pubblico è difficilissimo, ma non è difficile il descriverlo. Paragoniamo un romano antico ed un moderno. Io adopro il paragone tra questi due, non perché il secondo sia quello che abbia minor dose di spirito pubblico: esso ne ha poco piú o poco meno di tutti gli altri uomini d’Europa; ma perché il primo è quello che ne ha avuta una dose maggiore.

Un romano de’ bei tempi avea la piú grande idea di sé e della patria sua; ma l’idea, che nudriva di sé, era inseparabile da quella della patria, ed egli non si credeva grande se non perché era cittadino di Roma. Si sentiva capace di operar grandi cose, e pure non era vano: si credeva capace di operar grandi cose sol perché era capace di soffrirne delle altre egualmente grandi. Tutti erano eminentemente soldati: né, senza questo, vi è mai fiducia di se stesso. Qual fiducia può aver nelle altre cose colui il quale nella principale sa di non poterne avere alcuna? Un romano non ricusava verun pericolo per la patria: — Noi anderemo — diceva un centurione ai suoi compagni di arme, — noi anderemo, amici, ove è utile e necessario andare, ma donde il ritornare non è sicuro. — Per un romano il