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A creder mio, il piú illustre elogio che dar si possa ad un buon cittadino è quello di chiamarlo buon agricoltore <*). Voi ambite la gloria, amate far tacere la terra al vostro cospetto, e vi piace poter dire: — Cinquemila uomini son morti per l’opera del mio braccio, e centomila vivon felici per l’opera della mia mente. — Un altro dirá: — Io conosco tutt’ i segreti della sapienza degl’iddii. — E tu, o agricoltore, tu, che disprezzan ed il guerriero ed il legislatore ed il sapiente, intendi tu ciò che fai, quando coll’aratro i buoi, da te diretti, aprono il seno della feconda terra? Gl’iddii, o miei amici, han nascosto il piacere in tutte le cose della vita, come il fuoco entro la selce: convien stropicciarla, romperla, per ottenerne la scintilla. Cosí convien scomporre le nostre azioni, fregarle, per cosí dire, coll’acume della nostra mente, onde poterne ritrarre un piacere. L’uomo del volgo non ha verun piacere, perché non riflette su quello che fa. Ma sospendete per poco li suoi pacifici e quasi muti lavori. Ove il solco è interrotto, ivi cangiasi la faccia della terra: la natura non dá piú nulla alla vita de’ mortali; alle nutritive biade succedono i bronchi e le spine, e le bestie feroci occupano la sede degli uomini che muoiono per fame. E voi guerrieri dite che dal vostro cenno dipende la vita degli uomini? e voi legislatori, che da’ vostri ordini dipende la loro felicitá ? Scorrete oggi il Sannio. Vi trovate tre milioni di uomini contenti, campagne ben coltivate ed abbondanza di tutto ciò che rende agiata la vita (*>. L’utile fatica minora li vizi degli uomini: la virtú e l’abbondanza ne moltiplicano il numero. Ma non è stato sempre cosí. Noi siam figli de’ sabini. I nostri antichi padri, i quali abitavan terre felici quanto le nostre, non conoscevano l’agricoltura e vivean di rapina. La fame li costringeva spesso a mandar fuori delle proprie sedi una parte della loro popolazione. Sceglievano i piú giovani, li consacravano a (1) Catoni?, presso Plinio, xviii, 3. (2) Poliuio.