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XLIII

Di Platone ad Archita

[Non perché si trovi fra colleghi perversi, l’uomo onesto eh’è al governo, può, in momenti gravi, abbandonare il proprio posto.]

Cleobolo, che ritorna in Taranto per le leste di Ercole, ti dirá a voce molte cose che riguardan te. Io stesso verrò, spero, tra venti altri giorni. Ma tu hai torto, Archita, a volerti liberare dalle pubbliche occupazioni della cittá. È pur dolce vita quella che tutta si occupa nelle proprie cose, massimamente quando alcuno l’elegge tali quali da te si sono elette; ma niun di noi è nato a se solo, e della vita nostra la massima parte si deve alla patria, ai parenti ed agli amici. Tu dici: gli uomini son cattivi. Ed io ti rispondo: ecco per te una nuova ragione per rimaner fermo nel tuo posto. Non lasciare, per Giove! la tua patria in mano di coloro, i quali tu stesso sai che non ne prenderebbero con buona mente il governo W. Tu ti paragoni a Timeo. Ma perché non paragoni Taranto a Locri? I doveri di Timeo son cessati nel momento in cui cessò di esistere la sua patria. Ma Taranto esiste ancora; se ha perduta la virtú, conserva ancora la libertá: non ancora serve ad un vincitore, non ancora ha perdute le leggi, gli ordini, i riti de’ maggiori suoi; e se non potrá esser piú felice, poiché (i) Platone, Epistole , íx.