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dalle loro lezioni se non quella che ritraevan dai discepoli. Una scuola era quasi patrimonio privato, del quale il maestro disponeva a beneficio di colui che gli era piú caro. Ogni maestro, alla sua morte, nominava il suo successore. Che dovean fare quegli altri tra i suoi discepoli, i quali aveano o bisogno o ardimento di esser maestri, ed intanto vedeansi trascurati? Aprire una nuova scuola sarebbe stato inutile, se non l’avessero accreditata con qualche novitá. Quindi l’eterna smania d’innovare, non per ragione, ma per interesse; quindi l’eterna moltiplicazione delle sètte, perché ogni scuola novella, se volea aver concorrenti, era necessitá che si distinguesse in qualche parte dalle antiche; quindi la disputa eterna tra le tante sètte e la necessitá di continuare a combattere per interesse anche quando non ve ne era ragione; quindi que’ sofismi e quelle dispute di parole, nelle quali, essendo quasi impossibile decidere per chi mai stesse la ragione, erasi quasi per convenzione stabilito che dovesse aver torto colui il quale prima finisse di parlare. La libertá politica proteggeva le sètte; gli ordini pubblici, per lo piú popolari, le fomentavano. Ma, quando ed i filosofi, da una parte, ebbero esaurita in dispute oziose tutta l’energia della loro mente e prostituito tutto il decoro della propria vita, e la Grecia, dall’altra, ebbe perduta la sua libertá e dal sommo della gloria si vide precipitata in un abisso di mali, di tante sètte prevalsero due e rimasero quasi sole padrone del campo di battaglia: lo stoicismo e l’epicureismo, sètte diverse tra loro e nemiche, ma ambedue quali i tempi le desideravano: lo stoicismo tentando in tempi difficilissimi di vincer le cose, l’epicureismo tentando di adattarvisi ; ma ambedue atte a riparare per diversi modi agli stessi mali; ambedue intente a rialzar l’onore della filosofia, restringendo tutti i suoi studi a quello che piú importava all’uomo di sapere, e l’onor de’ filosofi, uno liberandolo dalla taccia di viltá e di mercimonio, l’altro da quella di alterigia e d’insolenza. Ma ambedue queste sètte erano poco atte a conservar con esattezza le dottrine pittagoriche. Ambedue aveano un disprezzo altissimo per tutto ciò che non era né stoico né epicureo. Ambedue calunniavano tutti gli altri uomini e tutte le altre dottrine. A chi seguiva la setta stoica non rimaneva tempo per leggere i libri di altri filosofi: il solo Crisippo ne avea scritti novecento. A chi entrava nella setta epicurea non rimaneva piú voglia. E l’una e l’altra setta distruggevano ogni criterio di vero, riponendolo gli stoici in un senso interno, che essi soli intendevano; gli epicurei