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I romani, le scienze de’ quali erano innestate per la maggior parte sulle dottrine degli stoici e degli epicurei, ebbero il torto di non coltivar molto le matematiche. Quindi fu che la loro coltura non ebbe la durata né giunse alla perfezione della greca. Dopo lungo oblio delle matematiche, s’incomincia a poco a poco a trascurar anche il metodo. Si moltiplicano que’ compendi enciclopedici coi quali si pretende in due pagine insegnar tutte le scienze («omne aevum tribus explicare chartis»), e, mentre voglion render le scienze piú comuni, le rendono piú frivole; quelle raccolte di Detti e fatti memorabili , que’ Saturnali, quelle Notti ateniesi , quelle Sapienti convivali : consarcinazioni, nelle quali Valerio Massimo, Macrobio, Gellio, Ateneo pare che abbian voluto conservare tutto il sapere degli antichi senza averne il senno. La stessa morale diventa aforistica e ciarliera: alla forza, che viene al discorso dalla dimostrazione e dalla retta associazione delle idee, si sostituisce la pompa ed il peso delle sentenze. Tale è la differenza che passa tra Cicerone e Seneca. Difatti che altro è mai la declamazione? È la smania di voler convincere senza aver l’arte di dimostrare. I matematici, i quali si possono chiamare dimostratori per eccellenza, convincon sempre e non declaman mai. Col tempo il male cresce; le idee diventano sempre piú slegate tra loro; perdono ogni forza, ogni venustá. Tali sono i precetti cosí detti pittagorici. Cresce del pari la credulitá, e la morale, non traendo piú alcuna forza dalla ragione, tenta trarla dalla superstizione. Vedete questa superstizione incominciare in Plutarco, crescere in Iamblico ed in Porfirio, giugnere all’apice in san Gregorio magno, dopo il quale la barbarie è completa. Qual sorte potevano sperare tra tali vicende i libri de’ pittagorici? La loro setta fu il bersaglio principale e forse unico di tutte le sedizioni che turbarono quella parte dell’Italia ov’essa nell’ultima sua etá dimorava. La storia ci parla di piú sollevazioni mosse contro di loro, ed in ognuna di esse i loro collegi furono incendiati, e probabilmente i libri loro dispersi e distrutti. Dione e Dionisio suscitarono in quelle regioni guerre piú che civili; tutto fu messo sottosopra. Ed in ognuno di noi è fresca ancor la memoria di quanta distruzione tali accidenti menan con loro. Dopo Dionisio, conquistaron quelle regioni i romani, ma i romani ancor barbari; talché quelle produzioni delle scienze e delle arti, che nelle etá posteriori incominciarono a rapire, allora distrussero. Per giudicare del guasto che dovettero fare in Taranto, Locri,