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che i diligenti padri di famiglia, metter in serbo qualche capitale onde poter tentare in appresso piú grandi e piú utili imprese. La seconda è l’etá delle audaci e vaste imprese. Nella terza, i nipoti del nostro buon padre di famiglia dissipano le ricchezze accumulate o in piaceri o in opere stolte piú ruinose degli stessi piaceri. I capitali delle scienze sono la mente ed i fatti. Se nella prima etá si desta soverchio amor di disputa, e se questo genera soverchio amor di finzioni; se l’amor della novitá si spinge oltre il segno del possibile e si vuole scoprire una terza veritá senza prima averne conosciute due; se gli uomini, invece del vero, spesso austero, corron troppo dietro l’elegante ed il molle, il naturai ordine delle cose s’inverte; e le scienze, incominciando dal punto in cui dovrebbero finire, muoion nascendo. Ti ho detto anche che nelle societá vi sono e vi debbono essere necessariamente tre classi di persone: i ripetitori, i conservatori, gli scopritori. È un male gravissimo che li primi si dian tutti a fare il mestiere degli ultimi; e questo male avvien sempre quando è moda dir delle novitá. Né minor male è quando s’impedisce agli ultimi di svilupparsi. Allora la societá riman barbara: nel primo caso diventa anarchica. L’opera de’ conservatori è quella di mantenere il mezzo; e questo mezzo si mantiene esattamente quando si separano le cose. Il popolo deve ripetere: per far che non tenti d’inventare, è necessario istruirlo. Chi non sa, vuol sapere. Ma il popolo non inventerá mai né sulle cose fisiche né sulle metafisiche: il popolo inventerá sempre sulla politica e sulla morale, perché queste son cose che vede, che sente. Dunque istruirlo nella morale. E vedi l’ordine della provvidenza esser tale che, mentre tutte le altre cose sono disputabili, la sola morale può esser certa ed eterna. Ma, per non impedir il progresso, è necessario separar la morale pubblica e privata da tutto ciò ch’è cangiabile, onde non avvenga, come spesso è avvenuto in Atene, che, per aver un uomo conosciuto l’ecclissi, è stato condannato quasi uomo che negasse l’esistenza di Dio e delle virtú.