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lxiv - storia e costituzione di roma 145

perché tranquillo, e tranquillo perché sicuro. Ma voi create dieci e dite loro: — Siate più che re, — e poi soggiungete: — Ma siatelo per un anno solo; in un anno voi stessi ci darete le leggi per le quali cesserete di esser re... — O romani, ponete mente a ciò che fate. Questi uomini non vi daranno mai leggi, onde il loro potere non finisca mai; confonderanno loro stessi colle leggi, ed ogni lagnanza contro l’abuso del loro potere la chiameranno offesa della repubblica. Siccome tutta la forza della loro momentanea sovranitá sta nell’opinione, così la stessa opinione diventerá serva; né basterá loro il frenar le mani de’ cittadini, ma ne vorranno spiare finanche le menti, registrarne le parole, i pensieri, finanche i sospiri ascrivere a delitto. Essi odieran la milizia e l’avviliranno, perché ogni forza è sospetta a coloro i quali non sono sicuri de’ pensieri. Ma, siccome una qualunque forza è pur sempre necessaria alla loro propria difesa, cosí, invece di valorosi soldati, si circonderanno di una caterva di delatori, di carnefici, di giudici piú vili degli stessi carnefici; e sará allora la peggiore delle tirannidi, perché non solo non vi saranno leggi, ma le stesse leggi saranno tiranniche...

A chi parlava io? Mi credeva di essere nel fòro di Roma e di parlare ai romani. Basta: parlando ai romani, ti ho scritta la storia di tutto ciò che avvenne sotto i dieci, e di tutto ciò che avverrá ogni volta che una cittá, per aver ordini migliori, imiterá la stoltezza di Roma1.

Per buona sorte dell’umanitá, tale tirannide, nel tempo istesso che è la piú crudele, è anche la piú debole. Io stento a credere che in una cittá possa durar piú di tre anni. I romani infransero l’indegno giogo; ed or vanno di anno in anno riformando le leggi che i dieci o lasciarono per negligenza incomplete, o cor-

  1. Non è questa la storia della Convenzione nazionale? Non si è commesso lo stesso errore che aveano giá commesso i romani, cioè di aver affidato a dieci momentanei sovrani tutt’i poteri? Non ne sono avvenuti gli stessi mali? E Robespierre, il piú imbecille de’ tiranni, a chi altro si può paragonare che ad Appio? Non vi è rivoluzione che piú della francese sia stata ornata dei nomi pomposi di Roma, di Sparta, di Atene. Non vi sono rivoluzionari che piú de’ francesi abbiano ignorate le vere storie di Atene, di Sparta, di Roma.
V. Cuoco, Platone in Italia - ii 10