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Che vi dirò io degli innesti? Non credete voi che un dio, un dio sia stato necessario per rivelare all’uomo questo segreto, per cui ogni pianta rende e migliori e piú vari i suoi frutti? Al certo che mente umana non potea preveder l’effetto stupendo che si sarebbe ottenuto inserendo in una pianta recisa il ramo distaccato da un’altra. Cosí noi, traendo profitto dalla varia natura delle terre e delle piante e dell’innesto, abbiam moltiplicato il numero di quelle piante utili, delle quali la natura non ci avea data che una sola specie; e cosí oggi abbiamo piu di otto specie di fichi, piú di dodici di uve, altrettante di pomi, le quali, dando i loro frutti in diverse stagioni, prosperando in cielo e suolo diversi, ci forniscono in tutt’i tempi ed in tutt’i luoghi una sussistenza piú sicura, piú varia, piú agiata. Né crediate che in ciò tutto sia fatto e che nulla rimanga alla gloria de’ nostri posteri. Abbiamo tuttavia ne’ nostri boschi mille frutti ancora selvatichi, che un giorno potrebbero, con cure piú diligenti, trasportarsi ne’ nostri campi e ne* nostri giardini. Tali sarebbero, per esempio, quei pruni che ora appena ci degniamo adoprar per siepi (0. È vero che da taluno si crede aver noi giá compiuto tutto ciò che era in nostro potere di fare, talché dicesi gl’iddii in molte occasioni aver coi fulmini manifestamente disapprovato i nuovi e strani innesti che ai giorni nostri si sono tentati; ma io reputo questi vani augúri figli dell’inerzia e dell’invidia de’ scioperati. Non vi è augurio il quale condanni l’utile fatica. Abbiamo introdotte ne’ nostri paesi le piante che sembran date dalla natura solo alla Apulia ed alla Sicilia. Forsi un giorno verranno dall’Asia e dall’Affrica, ad esser nostre concittadine, anche quelle piante delle quali appena oggi conosciamo i nomi e le patrie. Abbiamo tentati e vinti molti siti ; ve ne rimangono ancora molti altri a tentare. Voi greci credete che l’ulivo non prosperi alla distanza di quaranta miglia dal mare; tempo fa lo credevamo anche noi, e gli abitanti delle Mainardi e della Maiella eran (i) Plinio, libro xv.