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IX - DI CLEOBOLO 41

— Ma perché — dissi io, — con disposizioni tanto felici per la virtú, non la professi apertamente? Tu hai giá fatto ciò che era il piú difficile: esser virtuoso. —

Ed egli: — Te l’ho giá detto: siam nel mondo, siamo in Taranto. Tu vedi la lussuria che domina in questa nostra cittá. Ascolta tutto il nostro popolo: mangiare, bere e ingrassare allegramente. Tutt i tarantini incominciano a dire che gli altri uomini travagliano per poter godere un giorno: essi, quando han goduto, credono aver vissuto1. Vedi che le feste son piú numerose de’ giorni dell’anno; ed in molte di esse che vedi? Gran quantitá di manzi scannati per dare a mangiare al popolo. Tra poco avremo di questi pubblici conviti una volta al mese2. Se Archita vince una battaglia: — Bravo! — grida il popolaccio: — avremo una fesrta ed un pubblico convito. — Se si stipula coi turii o coi siracusani o coi cartaginesi un trattato vantaggioso: — Bravo! una festa ed un convito. — La repubblica è buona, perche si mangia. Tra questo popolo, che vuoi tu che io faccia? Io sono un povero uomo. Ho bisogno di mangiare. Quando qualche amico m’invita o che in qualche casa si celebrino nozze, io m’indosso la migliore delle mie vesti e corro. Fo di tutto per divertire i convitati: lodo il padron di casa; se taluno osa rimproverargli qualche cosa, lo difendo. Mangio. La sera me ne vo in casa, io, poveretto, solo solo, tra le tenebre, senza lume; perché non sempre posso aver con me un servo. Se mai per la strada m’incontro in qualche guardia, la prego perché non mi bastoni e mi lasci andare per i fatti miei; e se posso arrivar sano e salvo a casa, mi sdraio sul letto e mi godo tranquillamente quel sonno innocente, che mi ha conciliato il vino generoso, premio de’ miei travagli del giorno3. Maledetti coloro che hanno discreditata la piú onesta delle professioni dell’uomo! Un tempo i parasiti eran ministri

  1. TEOPOMPO, ap. ATENEO, ibidem.
  2. Avvenne difatti ne’ tempi posteriori ad Archita: ATENEO, ibidem; STRABONE, VI.
  3. ALESSIDE, ap. ATENEO. VI.