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32 PLATONE IN ITALIA

tradizione, secondo la quale Nettuno e Minerva contrastarono lungamente per sapere chi dovesse dare il nome alla vostra cittá. Queste favole sono immaginate dagli stessi popoli, e, se non svelano la loro vera origine, indicano però il loro modo di pensare. I vostri maggiori indicarono, colla contesa dei due numi, l’unione dell’agricoltura e del commercio; i nostri, col guerriero figlio di Nettuno, l’unione del commercio e della guerra. Gli spartani, i quali vennero posteri or mente ad abitar questi lidi, fecero prevalere la guerra. S’incominciò dal distruggere gli abitanti del paese e ridurli in schiavitú; indi si passò a distruggere i vicini. Far la guerra non era altro che distruggere o esser distrutto: non si sapeva altro mezzo di divenir grande che quello di rimaner solo. Insensati! Il solo non è né grande né piccolo: è miserabile. Quando voi avrete ridotta l’Italia ad esser un deserto, non avrete fatto altro che distruggere Taranto. Il primo effetto della sapienza è stato quello di avvezzar gli uomini a considerar la conquista non come un mezzo «li distruggersi, ma di difendersi; e, convien dirlo, questo primo effetto si deve alla religione piú che alla filosofia.

Tu hai potuto veder in vari siti della nostra cittá delle pietre, sulle quali si leggono scolpiti i nomi di molti che piú non esistono. Essi sono nomi di quei tarantini che presero Carbina, terra de’ Iapigi, e nel furore della vittoria rinchiusero tutti gli abitanti in un tempio, ed ivi, al cospetto degli dèi, dopo aver sfogata tutta la militare libidine, non perdonando né ad etá né a sesso, tutti li scannarono. Tali erano i nostri antichi padri. Narrasi che gli dèi, sdegnati contro tanta scelleraggine, fulminarono tutti coloro che vi ebbero parte. Nessuno si salvò dalla giustizia celeste. Gli stessi loro discendenti sono condannati a perpetua miseria; e, se in Taranto si vuol indicare un uomo estremamente misero, si dice: — Egli è della discendenza di coloro che distrussero Carbina1 — Questa memoria di tremenda vendetta divina si è creduto utile conservarla sempre viva nelle menti de’ nostri cittadini.

  1. ATENEO, libro XII.