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12 PLATONE IN ITALIA

Egitto giá conta due ore di lavoro... E da otto giorni l’apparire di questi astri non rammenta piú agli amici della mia fanciullezza il mio nome tra i nomi di quelli che essi vedranno nel giorno!... E la madre mia ha indirizzate agli dèi le sue preghiere della mattina; li ha pregati per me; ed io non sono stato al suo fianco!...

— O Platone — dissi allora, — non ti pare che l’uomo sia il piú superbo tra gli animali? Destinato ad occupare appena una spranna nell’immensitá dello spazio, mette tanta distanza tra il punto in cui nasce e quello in cui vive, che diventa commensurabile anche coll’infinita orbita degli astri. Che tentiam mai con questi tanti viaggi? Che speriam noi ottenere abbandonando tutto ciò che ci è caro?

— O Cleobolo — rispose Platone, — se avessi voluto anche in questo seguir i precetti di Socrate, io non sarei mai uscito dalla mia patria. È stoltezza credere che gli dèi abbiali posti gli uomini nell’Attica e la felicitá nell’India e nell’Egitto. Ma per esser felice nella sua patria e tra i suoi concittadini, è necessario poter fare il bene: l’uomo inutile ai suoi diventa in breve tempo noioso a se stesso ed infelice. Or chi, dopo la misera sorte del piú saggio degli uomini, chi potrebbe ritentar di nuovo l’indocile razza degli ateniesi1 Al savio, in tanta corruzione di uomini e di cose, non rimane altro che avvolgersi nel suo mantello e tacere, e rivolger la sua mente, dagli errori e da’ vizi de’ mortali, alla contemplazione delle cose intellettuali e celesti. Non potendo piú esser cittadino della sua patria, è necessitá divenir cittadino dell’universo. Socrate volea richiamar la filosofia nella casa. Egli la considerava come un alimento: ma per l’uomo, che vive tra uomini corrotti ed in cittá disordinate, è anche una medicina.

Noi passiamo in una terra per te nuova. Vedrai altri uomini: ma da per tutto e sempre le stesse passioni, gli stessi vizi, gli stessi errori; da per tutto un picciol numero di savi, che predicano inutilmente al volgo la virtú e la veritá; da per tutto

  1. PLATONE, Epistolae, passim.