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Perché non abbia scritto di talune cose e perché abbia scritto di talune altre, perché non sia stato piú lungo, perché non sia stato piú breve, non saprei dirtelo. Gli antichi parlavano e scrivevano in modo diverso dal nostro. Eran lunghi parlando, perché dicevano tutto ciò che era necessario a dirsi; eran brevi scrivendo, perché non scrivevano nulla di piú di quello che era necessario a scriversi. Tra noi moderni una conversazione simile ad un dialogo di Platone o di Cicerone farebbe morir di noia gli uomini di mondo; ed un libro breve, come sono quelli d’Ippocrate, farebbe morir di rabbia gli uomini di lettere. L’arte di comporre i trattati è posteriore di molto all’invenzione della stampa.

Montaigne dicea: «Io sono annoiato di tutti gli scrittori de’ miei giorni. Se uno di essi ha visitati i luoghi santi e vuol narrarti ciò che ha veduto, ti fa un trattato di geografia; se un altro ha scoperta la virtú particolare dell’acqua di una sua fontana, ti parla di tutti i fondi, di tutti i laghi, di tutti i fiumi e di tutti i mari della terra». Io ti prego, amico, a voler giudicare di un autore da ciò che ha detto, e non da ciò che dovea o poteva dire.

Cosí finí il dialogo coll’amico. Io ho voluto trascrivertelo intero, o lettore, onde tu sappia che, se mai non avessi da opporre a questo libro altro di quello che gli ha opposto l’amico, potrai ben dispensartene, perché né tu avresti nulla di nuovo da dirmi, né io avrei nulla di nuovo da risponderti.

Sta’ sano.