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capitolo terzo 127


Il continuatore della storia palentina, il vescovo Rodrigo Sanchez de Arevalo, dichiara apertamente che la natura non ha mai prodotto, e che la Provvidenza non ha mai decorato del diadema donna che si possa paragonare alla cattolica Isabella; perocchè ogni altra è venuta meno al proprio dovere in qualche occasione, laddove, seguendo Isabella dalla culla alla tomba, la si vede superare in magnanimità tutte le donne che la precedettero. Egli pensa che la purezza in lei fu tanto perfetta, da non poterlasi supporre unque caduta in colpa mortale.

Il siciliano Lucio Marineo, cappellano del re di Aragona, provandosi a parlare di Isabella, non può esprimerne le tante attrattive. Egli chiama Isabella, «tutta la felicità delle Spagne, tutto l’onore della nazione, e il più bell’esemplare di tutte le virtù.

Il venerabile don Juan di Palafox, vescovo d’Osma, trovava una certa quale conformità morale tra santa Teresa e la regina Isabella, e diceva ciò secondo le somiglianze del loro stile epistolare, il loro modo di concepire le cose e le forme del pensiero; e ne arguiva con bella sagacia, che se la Santa fosse stata regina sarebbe stata un’altra Isabella; e che Isabella sarebbe stata un’altra santa Teresa nella vita religiosa.

E perchè non si creda che il tempo abbia potuto aggiungere i suoi prestigi alla memoria di questa maestà, evochiamo un testimonio oculare, il protonotaro apostolico Pietro Martire di Anghiera, letterato rinomatissimo, il quale scriveva al celebre Pomponio Leto: «tieni in conto d’un foglio sibillino, o Pomponio, ciò che sono per dirti: questa donna è più forte di un uom gagliardo, superiore ad ogni anima umana, un modello ammirabile di decenza e di onestà. Non fu mai che la natura facesse in parte alcuna del mondo femmina che si potesse a lei paragonare. Non è ella una maraviglia o Pomponio, che le doti che sono men femminine al mondo, sovrabbondino naturalissimamente in questa femmina stupenda?»

Il tempo diè ragione al protonotaro apostolico: nulla smentì il suo giudizio: solamente la virtù d’Isabella non fece che distendersi e andar crescendo cogli anni. Il dolore la nobilitò, e i patimenti le impressero la l loro consecrazione. Più tardi il mede-