questa parte della parabasi; che però era detta pnigos (da pn/go =
soffoco).
Pag. 66, v. 6. - Accetto la correzione del Hamaker del maliosi,
impastino, in bàptosl, intridano, non tanto per la maggiore unità che
acquista la descrizione, quanto per la continuità che ne risulta con il
commento dello scoliaste.
Pag. 66, v. 19. - Questo mi pare il significato del luogo non
agevole. Il giovinetto non ha bisogno di avvocati, perché troppo rotto
agli artifizi curialeschi.
Pag. 66, v. 21. - I vecchi maratonomachi chiamano sé stessi per
antonomasia Titoni. Assai conosciuta è la favola di T itone antico.
Pag. 67, v. 8. - Marsia era un azzeccagarbugli, accanito persecutore dei vecchi.
Pag. 67, v. 18. - Ecco, in breve, come, a parer mio, si deve
intendere questo passo tutt’altro che perspicuo. Un certo Èvatlo (cattivo
oratore, dice lo scoliaste; ma simili note son come nulla) accusò calunniosamente Tucidide, vecchio venerando, (forse quel Tucidide avversario
di Pericle e capo del partito aristocratico dopo la morte di Cimone),
ed ebbe assistente nell’accusa Cefisodemo, d’origine scitica, e però soprannominato il Deserto della Sclzia. Siccome Scita e arderò erano fra gli
Ateniesi perfettamente sinonimi, perché le guardie pubbliche si reclutavano esclusivamente fra gli Sciti, Cefisodemo è chiamato più oltre anche
arderò. Tucidide dovè soccombere. Ma se fosse stato il Tucidide d’una
volta, dice Aristofane, degli Evatli ne avrebbe voluti dieci, dei Cefisodemi ne avrebbe sbigottiti tremila con un urlo. Il significato delle parole
« non avrebbe sopportata neppur la stessa Acaia » dovè essere chiaro
agli spettatori, ma è affatto perduto per noi. Quel che dice lo scoliaste,
non mi par degno neppure di considerazione: così qualche allusione che
ci sfugge si dovè contenere nell’accenno alla progenie di Cefisodemo.
Pag. 67, v. 21. - 11 figlio di Clinia è Alcibiade, che già s’era
fatto un nome come oratore.
Pag. 68, v. 6. - La presunta patria delle sferze è scelta per la
sua fonetica rassomiglianza col verbo lepelrt, sbucciare, scorticare.
Pag. 68, v. 8. - Il testo dice phasìanós anir, uomo di Fasis
(città della Scizia), per la somiglianza che intercede fra questo nome e
il verbo phàino, denunziare.