Pagina:Commedie di Aristofane (Romagnoli) I.djvu/373

262 ARISTOFANE

questa parte della parabasi; che però era detta pnigos (da pn/go = soffoco). Pag. 66, v. 6. - Accetto la correzione del Hamaker del maliosi, impastino, in bàptosl, intridano, non tanto per la maggiore unità che acquista la descrizione, quanto per la continuità che ne risulta con il commento dello scoliaste. Pag. 66, v. 19. - Questo mi pare il significato del luogo non agevole. Il giovinetto non ha bisogno di avvocati, perché troppo rotto agli artifizi curialeschi. Pag. 66, v. 21. - I vecchi maratonomachi chiamano sé stessi per antonomasia Titoni. Assai conosciuta è la favola di T itone antico. Pag. 67, v. 8. - Marsia era un azzeccagarbugli, accanito persecutore dei vecchi. Pag. 67, v. 18. - Ecco, in breve, come, a parer mio, si deve intendere questo passo tutt’altro che perspicuo. Un certo Èvatlo (cattivo oratore, dice lo scoliaste; ma simili note son come nulla) accusò calunniosamente Tucidide, vecchio venerando, (forse quel Tucidide avversario di Pericle e capo del partito aristocratico dopo la morte di Cimone), ed ebbe assistente nell’accusa Cefisodemo, d’origine scitica, e però soprannominato il Deserto della Sclzia. Siccome Scita e arderò erano fra gli Ateniesi perfettamente sinonimi, perché le guardie pubbliche si reclutavano esclusivamente fra gli Sciti, Cefisodemo è chiamato più oltre anche arderò. Tucidide dovè soccombere. Ma se fosse stato il Tucidide d’una volta, dice Aristofane, degli Evatli ne avrebbe voluti dieci, dei Cefisodemi ne avrebbe sbigottiti tremila con un urlo. Il significato delle parole « non avrebbe sopportata neppur la stessa Acaia » dovè essere chiaro agli spettatori, ma è affatto perduto per noi. Quel che dice lo scoliaste, non mi par degno neppure di considerazione: così qualche allusione che ci sfugge si dovè contenere nell’accenno alla progenie di Cefisodemo. Pag. 67, v. 21. - 11 figlio di Clinia è Alcibiade, che già s’era fatto un nome come oratore. Pag. 68, v. 6. - La presunta patria delle sferze è scelta per la sua fonetica rassomiglianza col verbo lepelrt, sbucciare, scorticare. Pag. 68, v. 8. - Il testo dice phasìanós anir, uomo di Fasis (città della Scizia), per la somiglianza che intercede fra questo nome e il verbo phàino, denunziare.