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LXXVI GUELFI E GHIBELLINI. tanto esaltata da Dante. Ma Dante e gl'istigatori e gli uc- cisori di Cesare fa dejjni di pena: e, se al pensiero di lui venerabile cosa era l'impero, non mono venerabili gli ap- parivano le virtù dell'antica repubblica; e Catone, il nemico di Cesare, era da lui collocato alle falde del santo monte a guidare o a sospingere a purgazione le anime incerte o in- dugianti. Cosi Virgilio accanto a magnifiche Iodi del nuovo impecio, pone le lodi di Fabrizio e di Curio e di Catone; la morte del quale ad uomo cristiano doveva ì)arere men bella. Ma checché di ciò sia, non resta che non paia irri- verente e atroce il consiglio dato ad Arrigo dall'esule, di portare diritto la guerra contro la sconoscente sua patria, ch'egli chiamava insieme e volpe e vipera e pecora scab- biosi), e Mirra e Amata e Golia, contro lei l'ira e l'arme dell'imperatore imprecando. E se tale era il ghibellinesimo in Dante, or qual sarà stato in uomini meno retti e men alti! Ma Dante, nell'atto stesso di vituperare Firenze, la loda come la città più potente d'Italia; e confernja il te- stimonio del Villani, del Compagni, e d'altri, che Firenze dicono delle lombarde sommosse efficacissima istigatrico.