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LXIV LODI DATE ALL'UMILTÀ' DAL SUPERBO POETA. Quanto più grande è l'oggetto che la niente considera, e quanto la mente è più piccola, tant'ella più lo disforma sforzandosi d'adattarlo alla sua poca capacità: ond'ò so- vente che noi con la stessa ammirazione offendiamo, lo- dando vituperiamo. Questo avviene segnatamente degli uo^ mini e de' tempi antichi, i quali ciascuna generazione giu- dica secondo le esperienze e le affezioni proprie, e cerca in quelli o consolazione ai propri difetti o scusa agli eccessi, ossivvero alle nuove idee e a' tatti nuovi puntello d'esempi. Di quant'io dico son prova le opinioni che corrono intorno all'animo e agl'intendimenti di Dante, il quale a taluni del tempo nostro parve uomo che non prendesse allegrezza se non dall'ira feroce e superba, eie sue imagini tingesse tutte di fosco colore, e ogni religiosa autorità rigettasse. Ma a chi ben legga la parola di Dante, appare chiaro com'egli altamente sentisse ad ora ad ora e 1' umiltà generosa e la letizia quieta e il mite affetto e la divozione pensatamente sommessa. Noi qui di soli una cosa vogliamo fornire le prove, dell'affetto che quest'anima altera ebbe alla virtù creatrice della vera grandezza, l'umiltà. Lascio stare lo strazio che agli orgogliosi iracondi egli destina in inferno (1) ; lascio stare i tre cariti del Purga- torio, serbati tutti all'espiazion del peccato della superbia, del quale egli confessa so reo, ma pur esce in un lungo quasi sermone con tr' esso abbandonando l'usata via della narrazione e del dialogo, abbandonando quella parsimonia di sentenze che gli è cara tanto. Ma rammento con quanta dolcezza risuoni nella ì'ita Nuova il titolo d'umile, dato alla donna delle meditazioni sue intense e ardenti, conje se (i) Quanti si tengon or lassù gran rtgi, Glie qui siaranno come porci in brago !