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DANTE E IL PETRARCA LXIII che Francesco ebbe da illecito amore, d'altro amore che quello di Laura. Come potesti, o Fiorentino, adorare la fi- gliuola del Sindaco di Avignone, e con tutti i desideri! del cuore e dei sensi desiderarla, e sospirare di lei in ogni val- le, e spargere ai quattro venti i sospiri; e in questo men- tre abbracciarti a un' altra donna, e, avutone un figlio, riab- bracciarleti ancora? E averne questa figliuola; che adesso, mentre tu, vecchio e pentito, correggi, cantando, un sonetto in morte di Laura, entra nella tua stanza, e ne' suoi linea- menti ti porta altri rimorsi e l'imagine di un'altra bellez- za? Oh poeta, tu che hai tanto pianto d'amore, hai tu in verità amato mai? La tavola di Giotto che ornò la casa del Petrarca, è pe- rita, è perita la signoria Carrarese: ma consoliamoci; la gatta del Petrarca non ha abbandonato il suo posto. E molti di coloro che visitano Arquà non per amore del dolce tuo canto, o Poeta, o dell'ameno soggiorno, ma lo visitano perch'altri l'ha visitato; guarderanno più attentamente alla gatta che ai colli, più alla gatta che ai due terzetti del- l'Alfieri, che sono de' meglio temprati e più antichi versi ch'abbia la moderna poesia; più alla gatta che al nome di Giorgio Bjron, che senza titolo né altra parola sta confuso fra tanti, e dice più d'oj^ni lode. Tale è il destino della glo- ria mondana, acciocché gli uomini se ne svoglino : che, quando eli' ha vinto la calunnia e l'invidia, quando non le può più dar noja né la rabbia de'deboli, né la paura de' forti, riman- gano a perseguitarla l'ammirazione stupida, la lode sgua- iata e profanatrice. Accorrevano da molte parti di Europa del mondo a vedere la casa di P'rancesco Petrarca; e intanto lasciavano che la pioggia e le lucertole entras- sero nella sua sepoltura. Ma il conte Carlo Leoni, pado- vano, assumendo co' titoli gli obblighi aviti, fece quello che un da Carrara avrebbe fatto potendo, riparò la tomba ca- dente; né con questo esempio soltanto agl'Italiani il pro- prio nome raccomandò. Possano le ossa di colui che riposa in mezzo a poveri contadini, di colui che aveva pregiato tanto il contadino di Valchiusa e l'orefice di Bergamo,"pos- sano rammentarci coni' uno de' più grandi ingegni d'Italia sia morto, morto nella solitudine, dopo aver conosciute le dimore di certi grandi; dopo avere, se non lusingate, almen viste senza sdegno le loro crudeli ingiustizie, e accettata da loro l'ospitalità, e ricusatala dalla propria repubblica, e sof- ferto da essi il nome d'amico.