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CANTO XXIX. 345 I FALSATORI. Il più sovente coir un Canto si chiude una pena o un premio nel poema, e con l'altro altra materia incomincia: ma qui per dare rilievo alla memoria d'un suo congiunto, uomo di discordie e per esse morto. Dante Io discerne da altri uomini maggiormente famosi , e così fa vieppiù risaltare la propria equità, intlessibile eziandio verso le per- sone del suo sangue slesso. Ceri fu zio cugino di Dante, fratello di Clone Aìlighieri (i). Virgilio ne parla com'uomo che non conosceva chi e' fosse. Fu ucciso da un dtv Sacchetti. La vendetta allora era te- nuta debito sacro, e Francesco da Barberino attesta le vendette in Toscana più che. altrove frequenti; e la Cronaca del Velluti: Velia- tello {moribondo per ferita ricevuta) lasciò cinquecento fiorini a chi facesse la sua vendetta. Benvenuto : / Fiorejitini sono atta vendetta massimamente ardenti e in pubblico ed in privato; il che ben mostra- rono in que' tempi alla Chiesa di Roma , alla quale fecero ribellare gran parte ci' Italia. Potevano avere pretesto alle private vendette nelle consuetudini ebree: Evadere iram proximi qui ullor est sanguinis (2). IVon credo, però, che il Poeta qui si mostri sitibondo di 'sangue nemico, egli che nel XII dell'Inferno punisce la vendetta di Guido contro un cugino dell' uccisor di suo padre; egli che i Sacchetti nomina nel Paradiso senza gravarli, come sopr' altri fa, d' alcun' onta; egli che il pro- prio cugino caccia in Inferno come scandaloso: ed era, dice l'Ano- nimo, anco falsario, che non credo. Anzi, soggiunge l'Anonimo slesso, vuole il Poeta biasimare la rabbia di vendetta che lo perse- guita fin nell'Inferno. Certo è che Gerì fu vendicato treni' anni dopo la morte da un suo figliuolo uccisor d'un Sacchetti; e forse che (lue- sli versi di Dante, sebbene con intenzione opposta, rinfrescarono nel figliuolo la memoria del sangue paterno, e gridarono dall' Inferno ven- detta. Il contrasto fra la pietà e la giustizia della condanna è qui poe- tico come in Brunetto, in Farinata, in Francesca, nei tre Fiorentini. Cosi in un de' passi dell'Eneide più belli. Enea nel vedere Didone sdegnosa fuggirlo senza parola: Prosequitnr lacrimans longe, et mi- seratur euntem (3). Dante, nemico d'ogni falsità, mette i falsi sotto gl'ipocriti e sotto i ladri; secondo la viltà della colpa ne giudica la gravità. Notisi la gradazione: i peccati di senso men rei, poi quelli di violenza; e tra i violenti, anche l'orgoglio che nega il debito agli uomini o a Dio; poi quelli di frode, i quali offendono più direttamente il vero, che è (1) Pelli, pag. 32, 33, 34. (3) .En., VI, (2) Jos., XX, 3.