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474 INFERNO. — Canto XXX. Verso 474

Quand'Vio il senti’ a me parlar con ira,
     Volsimi verso lui con tal vergona,
     Ch’ancor per la memoria mi si gira. 135
E quale è quei che suo dannaggio sogna,
     Che sognando desidera sognare,
     Sì che quel ch’è, come non fosse, agogna;
Tal mi fec’io, non potendo parlare,
     Che disiava scusarmi , e scusava 140
     Me tuttavìa, e noi mi credea fare.
Maggior difetto men vergogna lava.
     Disse il Maestro, che il tuo non è stato;
     Però d’ogni tristizia ti disgrava:
E fa ragion ch’io ti sia sempre allato, 145
     Se più avvien che fortuna t’accoglia,
     Dove sien genti in simigiiante piato;
Che voler ciò udire è bassa voglia.




V. 136. Qui esemplifica che è in tale disposizione come colui che sogna uno arduo affare, e nel sogno medesimo brama di sognare; tanto la voglia lo spinge a non voler trovarsi in tale affetto.

136. Qui fa la comparazione dal suo volere alla predetta voglia.

139. Quasi a dire: tu hai tanta vergogna che l'avrebbe maggior peccato, e però ornai ti distogli da quella tristizia che n’avevi. E soggiunge: se mo inanzi t’avenisse che vedessi così questionare cattive persone, fatti ragione che io ti sia apresso sì che sempre pensa d’avere il correttore a lato, imperquello che tale dilettazione d’udire si è bassa voglia, cioè non virtudiosa.

E qui compie la sentenzia del presente capitolo.