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INFERNO. — Canto XXVI. Verso 15 a 30 417

     Rimontò il Duca mio, e trasse mee. 151
E proseguendo la solinga via
     Tra le schegge e tra’ rocchi dello scoglio,
     Lo piè senza la man non si spedìa.
Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio,
     Quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi; 20
     E più lo ingegno affreno ch’io non soglio,
Perchè non corra, che virtù noi guidi;
     Sì che se stella buona, o miglior cosa
     M’ha dato il ben, ch’io stesso noi m’invidi.
Quante il villan, ch’al poggio si riposa, 25
     Nel tempo che colui, che il mondo schiara.
     La faccia sua a noi tien meno ascosa;
Come la mosca cede alla zanzara;
     Vede lucciole giù per la vallea.
     Forse colà dove vendemmia ed ara: 30

  1. V. 15. Non muto il verso ma sono assai teniato a credere che Dante ad evitare quell'io ia racconciasse come ha il cortonese: Lo duca rimontò e trasse mee.



V. 18. Cioè che con mani e con piedi bisognava che s’aiutasse.

19. Qui dice dottrinando l’autore che vegendo quel che vide si dolse, quasi a dire: questi che sono in questa bolgia puniti, hanno per suo ingegno tal pena, e sono a tal baratro: e però io che ho sottile ingegno, si lo affreno e noi voglio ora nel mondo adoperare senza tuttavolta la guida e lo reggimento della virtude, imperquello che s’io ho da costellazione essere ingegnoso, come sono seconda astrologia li mercuriali, ed io non lo adovro e reggo per virtude, io lo invidio e inodio, e così tal sottigliezza è mal retta e governata.

25. Or qui dà uno esemplo come li parea nel fondo quelle anime de’peccatori incese essere fatte, e dice che sicome nel tempo che colui che lo mondo schiara, cioè lo sole, ne tiene meno la faccia sua ascosta, cioè che sta meno sotto terra, che sono le notti picciole come di giugno, e lo villano lo quale lavora nelle vallare e sì in campo, e sì in vigne, e fa sua abitazione su nella montagna, guardi essendo nella montagna di sera verso quelli luoghi, vede tutto pieno di lucciole; così elli essendo su lo scheggio dell’ottava bolgia, vedea nel suo fondo tutto pieno di fiamme di fuoco. E dice poeticamente del ditto villano quando fa tal guardia da sera, cioè quando la mosca cede alla zenzara, imperquello che le mosche volano di die, e le zenzare di notte.

29. Lucciole, sono vermicelli a modo di mosche, dalle quali luce il corpo a modo di fuoco: della quale lucidezza, e del legno della quercia marcia tratta lo filosofo pienamente nel secondo della Meteora, ove tratta de’corpi diafani.