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INFERNO. — Canto XXIII. Verso 43 a 60 379

E giù dal collo della ripa dura1
     Supin si diede alla pendente roccia,
     Che l’un dei lati all’altra bolgia tura. 45
Non corse mai si tosto acqua per doccia
     A volger ruota di mulin terragno,
     Quand’ella più verso le pale approccia,
Come il maestro mio per quel vivagno,
     Portandosene me sovra ’l suo petto, 50
     Come suo figlio, e non come compagno.
Appena fur li piè suoi giunti al letto *
     Del fondo giù, ch’ei furono sul colle2
     Sovresso noi: ma non gli era sospetto;
Che l’alta provedenza che lor volle355
     Porre ministri della fossa quinta,
     Poder di partirs’indi a tutti tolle.
Laggiù trovammo una gente dipinta,
     Che giva intorno assai con lenti passi
     Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta. 60


  1. V. 43. Anche qui il Cassinese, il R., la Vind., BS, il Laur XL, 7, han collo, e Wtte falla.
  2. V. 53. Rimetto furono ch’è de’ Codici lanei nel Laur, XL, 7, e in BS, BP, BU, BV, dov’altri mise giunsero.
  3. V. 55. La lezione che avevo già scelta mi si rinfranca ora da BU, BV, BP, BC e dal Landiano.


V. 54. Cioè che non poteano li demoni più scendere, imperquello che la giustizia di Dio li ha relegati sì in quelli offizii ch’elli non hanno arbitrio di fuori dalli luoghi a loro deputati; e però dice: L’alta Provedenza, cioè la divina virtude, che li volle porre a tale offizio, cioè nella quinta bolgia, non gli dà giurisdizione ch’elli possano nella sesta andare, nè partirsi dalla quinta.

58. Qui dice delli ipocriti li quali si dipingono per non parere santi.

59. Che gira intorno, cioè che non hanno mai quiete, che, sicome dice Aristotile nell’ottavo della Fisica, ed in primo Coeli et mundi: motus circularis est perpetuus.

60. Quasi a dimostrare ch’ aveano gran pena.

Ivi. Stanca, cioè faticata; vinta, quasi a dire ch’era cotanta la pena, quanto ogni sua possanza potea sostenere; che nulla cosa può essere vinta se non da maggior di sè ; adunque la pena loro è maggior ch’elli non possono portare, ma che l’anima d’essi non si può disfare. Sichè solo quella possanza ha l’anima dannata, per la quale ella soffera sì smisurata pena averso di sè; e questa par che sia la intenzione de l’autore quando dice vinta.