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352 INFERNO. — Canto XX. Verso 119 a 124

     Che avere inteso al cuoio ed allo spago
     Ora vorrebbe, ma tardi si pente. 120
Vedi le triste che lasciar on l’ago,
     La spola e il fuso, e fecersi indivine; *
     Fecer malìe con erbe e con imago.
Ma vienne omai, che già tiene il confine




era l’ora, e questi dava alla campana, e tutti saliano a cavallo e uscìano verso li nemici.

Ivi. Questi fu uno calzolaio che cuciva scarpe ab antiquo; venne auguro e predicea de futuris, e disse molte fiate di grandi veritadi; del quale dice lo poema che meglio li fosse avere atteso all’arte sua, che allo indovinare.

V. 120. Cioè che ’l pentire ch’elli hae di tale speculazione nulla li giova1.

121. Qui fa menzione, senza esprimere nome, d’alcune femine, le quali lasciarono lo cucire e ’l filare e ’l tessere, che sono tutte ovre feminile e fecero sè indivinatrici e erbarie, e imaginili2; le quali sono punite tutto a simile de’sopradetti cioè travolte, ed hanno li visi dalle spalle, piangendo, e stimolate dalla giustizia divina, sicome li maschi della sua sorte.

124. Seguendo il poema vuol fare menzione dell’ora acciò che il tempo lo servi nella sua poetria, e dice che è Caino e le spine, cioè la luna, perchè fabulose si dice che Caino figliuolo d’Adam è nella luna con un fascio di spine in spalla, simile a quello che ’l portava nel mondo a fare sul monte sacrificio a Dio.

Tegnon lo confine d’ambidue li emisferi, e toccono lo mare di Sibilia, quasi a dire: la luna era nello occidente, ed era ritonda, ed avea uno die più, quasi a dire: com’ella sarà nell’occidente tramontarà, e ’l sole ascenderà in oriente, in per quello che quando la luna è ritonda, ella è nell’opposita parte del cielo del corpo del sole, e per consequens quando ella oceide , el sole ascende : e però dice: E già ier notte fu luna tonda. Emisferio è lo circolo che divide lo cielo, lo quale si vede da quel che non si vede, e però quando dice l’emisferio tocca, cioè che è il confine di quello che si vede e che non si vede.

Ed è da notare che infine a questo punto l’autore è stato nell’inferno due die e due notte, e qui comincia lo terzo die.

Ed è terminata per quello che è detto la sentenzia del vigesimo capitolo. Ed è da notare che la favola d’Anfiarao hae a denotare per allegoria quelli che sono audaci contro la divinità, che poi Dio li punisce in modo ch’elli non hanno che li ritegna, ed ogni cosa li abandona. Sicome similmente Capaneo fu fulminato dalli Dei, in per quello che li dispregiava sicom’è detto. L’allegoria

  1. Nè il Codice Riccardiano nè il Magliabecchiano hanno: Fu il detto Asdente parmegiano ch’è nella Vindelina dopo giova. E glossema certo d’allrui.
  2. Erbarie sf. ha sm. nel Poemio, Correggo col R l’imagini della Vindelina.