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INFERNO. — Canto XX. Verso 112 a 118 351

Euripilo ebbe nome, e così il canta
     L’alta mia Tragedia in alcun loco;
     Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
Quell’altro che ne’fianchi è così poco, 115
     Michele Scotto fu, che veramente
     Delle magiche frode seppe il giuoco.
Vedi Guido Bonatti, vedi Asdente,




V. 112. Euripilo ebbe nome. Qui notifica il nome del predetto auguro, dando per testimonianza che di lui si fa menzione nella tragedia di Virgilio. E soggiunge che Virgilio dice a Dante: tu lo sai bene, imperocchè tu sai la mia tragedia. Tragedia è una poetria opposita alla Comedia, imperocché la comedia tratta novelle di quelli che nel principio sono stati piccoli e fievoli e da poca fortuna, e nella fine grandi, forti e graziosi: la tragedia è l’opposito, che tratta novelle di quelle di quelli che nel principio sono stati grandi ed eccellenti, nel fine piccioli e di nessuno valore.

Or trattando di Troia Virgilio, che fu grande vittoriosa ed eccelsa, e poi fu condotta a destruzione, fu necessario che tal trattato fosse tragedia, e perché nelli affari di Troia fu necessario nomar Euripilo, sì come auguro de’Greci, però dice che così lo chiama l’alta sua tragedia; e nota che dice alta, cioè che è d’alto stile e dittato. 115. Qui fa menzione di Michele Scotto il quale fu indovino dell’Imperatore Federico; ebbe molto per mano l’arte magica, sì la parte delle coniurazioni come eziandio quella delle imagini; del quale si ragiona ch’essendo in Bologna, e usando con gentili uomini e cavalieri, e mangiando come s’usa tra essi in brigata a casa l’uno dell’altro, quando venia la vòlta a lui d’apparecchiare, mai non facea fare alcuna cosa di cucina in casa, ma avea spiriti a suo comandamento, che li facea levare lo lesso dalla cucina dello re di Francia, lo resto di quella del re d’Inghilterra, le tramesse di quella del re di Cicilia, lo pane d’un luogo, e ’l vino d’un altro, confetti e frutta là onde li piacea; e queste vivande dava alla sua brigata, poi dopo pasto li contava: del lesso lo re di Francia fu nostro oste, del roste quel d’Inghilterra etc.

E dice l’autore poetando che ne’fianchi è poco, quasi a dire: elli fu spagnuolo, in per quello che li spagnuoli nel suo abito fanno strette vestimenta1.

117. Nota che dice frode magiche; sono inganni che ne fanno li demonii,

118. Questo fu uno da Furlì, il quale fu indivino del conte da Montefeltro; e usava costui di stare nel campanile della mastra chiesa, e facea armare tutta la gente del conte predetto, poi quando

  1. Un interpolato e; e specialmente nelle guide (gheroni) le quali hanno a far larghi li panni intorno ai fianchi, che segue il punto, e manca al M