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344 INFERNO. — Canto XX. Verso 84 a 40

Anfiarao? perchè lasci la guerra?
     E non restò di minare a valle 35
     Fino a Minòs, che ciascheduno afferra.
Mira, che ha fatto petto delle spalle:
     Perchè volle veder troppo davante,
     Dirietro guarda, e fa ritroso calle.
Vedi Tiresia, che mutò sembiante, 40




Lo detto Anfiarao volle pronosticare che dovea essere di lui, trovò ch’elli dovea morire; per paura della morte s’ascose e nollo sapea altri che Erifile sua mogliere. Venuto lo termine d’andare nell’oste fu detto a Pollinice: messere, elli è buono che menate con voi Anfiarao, ch’elli vi sappia dire in che parte della terra ell’ è men forte, e ancora tutte le condizioni de’Tebani; ancora elli vi dirà l’ora in che è buono incominciare le scaramuccie acciò che voi siate vincitore. A Pollinice parendo di tenere tale consigdio, mandò alla sua abitazione per esso; fulli risposto: elli non c’è. Pollinice volle per ogni modo ch’elli si trovasse; costui non si trovava. Fece gridare che quale persona sapesse Anfiarao e non lo presentasse, ch’elli fosse in pena della vita. La mogliere predetta, udito tal precetto e recevuto uno dono dalla moglie di Pollinice, si lo apalesò; sichè convenne ch’elli andasse al ditto oste.

Andati costoro ad assedio alla ditta cittade, lo detto Pollinice fe’ fare uno edificio molto alto, il quale portava suso uno carro dritto e eretto. Sopra questo edificio andava Anfiarao per veder bene le ascensioni delle stelle sovra l’orizzonte, e per vedere e discernere bene ogni volato e versi che facesseno li uccelli dell’aire; per li quali augurii elli predicea de futuris. Or avenne un die stando lo detto Anfiarao suso questo edificio per augurar contra quelli di Tebe, a petizione di Bacco e delli altri Dei la terra s’aperse, e inghiottì questo edificio: per la qual cosa li Tebani, ch’erano sovra le mura e in le bettifredi, e in le torri, che ’l videno, gridavano tutti beffando di lui: o Anfiarao, dove rui? cioè: in che luogo ti porta la ruina? deh! perchè lassi tu la guerra, dove fuggi tu? E pognono li poeti che per quella aperzione di terra, si andò alcuno lume nell’abisso, di che poi surse tenzone tra li Dei di Tebe, e quello dello Inferno1.

V. 37. Cioè che ’l detto Anfiarao era travolto, come nel testo appare.

40. Questo Tiresia fu figliuolo di Pirro: il quale Tiresia andando un die fuori della città di Tebe per un bosco, vide due serpenti molto avviluppati insieme e coire si come è sua natura. Costui avendo una vergella in mano, battè quelli serpenti in tal modo ch’elli si partiro, e costui incontanente diventò femina: tornò nella cittade, e molto si tribolava di sua disgrazia. Venne pietade d’esso

  1. «Dopo ciò, la Vind. e il R. hanno un glossema d’altrui: e cioè Plutone, che venne a prendere e furare Proserpina, e menolla giuiso com’è detto» .