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304 INFERNO. — Canto XVII. Verso 58 a 72

E com’io riguardaudo tra lor vegno,
     In una borsa gialla vidi azzurro,
     Che di lione avea faccia e contegno. 60
Poi procedendo di mio sguardo il curro
     Vidine un’altra come sangue rossa1
     Mostrare un’oca bianca più ch’eburro 2
Ed un, che d’una scrofa azzurra e grossa3
     Segnato avea lo suo sacchetto bianco, 65
     Mi disse: Che fai tu in questa fossa,
Or te ne va: e perchè se’vivo anco,
     Sappi che il mio vicin Vitaliano
     Sederà qui dal mio sinistro fianco.
Con questi Fiorentin son Padovano; 70
     Spesse fiate m’intronan gli orecchi,
     Gridando: Vegna il cavalier sovrano,


  1. V. 62. Non c’è rosso più del sangue; il sangue è purpureo. Quindi è necessario diminuir l’effetto della comparazione e colia Vind., col Cassinese, e col R. col Land, coi tre dell’Archig. i parmig. il Laur XL, 7 il Cavr. il Bg., restituisco la lezione della Nidobeatina.
  2. V. 63. Il Witte trascorrendo molte varianti di codici trovò che e burro; questo e non so che sia mai stato accentato ne’codici antichi, e s’egli lo accentò intese il verso più bianca del burro; ma il burro ha del gialliccio e a fare un paragone non ha suffìcienza. Già il Muzzi dubitò ch’esser dovesse eburro, per eburno, avorio, e si come questo è molto bianco, dava risalto al bianco maggiore dell’Oca. Questa variante, che io adotto, è nel Codice perugino D, 58 di molto buona lezione.
  3. V. 64. Alcuni Cod. hanno Che spesse fiate fra cui il citato Perugino, D. 38, e l’Angelico; altri solo spesse fiate; altri hanno E spesse fiate




V. 59. Questa armadura che è un lione azurro nel campo di oro è l’arme de’ Gianfigliazzi di Firenze, li quali sono grandissimi usurarii.

61. Quest’altra armadura che è una oca bianca nel campo vermiglio è l’arme degli Ubbriachi di Firenze, li quali similmente sono stati grandissimi usurarii.

64. Questa armadura che è una scrofa azurra cinta di rosso nel campo bianco è l’arme delli Scrovigni da Padoa, li quali similemente sono grandissimi usurieri.

67. Segue suo poema pronosticando che messer Vitaliano del Dente gentile cavalieri da Padoa, sì come pubblico usurario, dopo la prima vita sarebbe offerto a tal compagnia.

70. Qui mostra che quel di Scrovigmi era quello che tenea colloquio con Dante, e dice di sè medesimo: tra questi fiorentini io sono padoano, e spesso odo dire: regna il cavalier sovrano! Qui è da notare che questi cotali fiorentini i quali chiamavano il cavalieri sovrano parlavano per antifrasi, cioè per contrario, che questo cavalieri, di chi elli diceano, era un messer Joani Buiamonte da Firenze, il quale fu uno grandissimo usurario, ma insomma fu il