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così vedendo le pene de’ dannati; e benigno dice intanto, che mostrò inverso loro benignità, in quanto disse: 0 anime affannate, et aggiunse: Venite a noi parlar, s’altri nol niega. Che visitando vai per l’aer perso; cioè nero, e questa è una delle pene che fu toccata di sopra: e chi; cioè vai visitando? Noi, che tignemmo il mondo di sanguigno; perchè è da intendere che furono morti e sparsono lo loro sangue in terra, e così tinsono il mondo di sangue: però che tutti coloro che nominò di sopra in quella schiera, erano morti per amor illicito. Se fosse amico il Re dell’universo; cioè Idio, che è re di tutto il mondo, e di tutti i secoli, lo quale non era amico loro, perch’erano dannati, Noi pregheremmo lui della tua pace; cioè della tua salute: imperò ch’allora è l’uomo in pace, quando per morte è uscito delle turbolenzie di questo mondo, e venuto alla salute eterna. Poi ch’ài pietà del nostro mal perverso; cioè poi che veggiamo ch’ài pietà del nostro amare, male perverso: perciò che lo amore ch’era licito pervertirono in non licito; e parla qui per sè e per lo compagno. Di quel ch’udire, e che parlar vi piace. Notamente disse qui in più, e di sopra disse in uno, a dimostrare che la pietà venia pur da la sensualità importante per Dante; ma udire e parlare procede dalla ragione importata per Virgilio, et ancora dalla sensualità importata per Dante, e però dice in plurali vi piace. Noi udiremo, e parleremo a vui, Mentre che il vento, come fa, si tace. Dice di sè, noi, perch’erano due, e parleremo a vui, ancora perch’erano due; Virgilio e Dante, e questo sarà tosto, o vero, tanto quanto il vento si lasciarà stare. E qui si può movere dubbio; se di sopra disse: La bufera infernale, che mai non resta ec., qui dice si tace, pare che si contrari a sè medesimo. A che si può rispondere; cioè che quel vento mai non resta per rispetto di tutti quelli dannati; ma per respetto di questi due, bene restava, perchè aveano licenzia di parlare con Dante; e però molti testi ànno, ci tace; cioè a noi due. Siede la terra. Qui incomincia la narrazione, e però doviamo sapere innanzi ch’andiamo più oltre, che l’autore finge che parla qui una di queste due anime; cioè la femmina ch’ebbe nome Francesca, come appare di sotto nel testo. E questa fu figliuola di messer Guido di Polenta da Ravenna, signor di Ravenna, e fu maritata a Lanciotto figliuolo di messer Malatesta da Rimino. Questa era bellissima del suo corpo; il marito era sozzissimo, et era sciancato, e questo Lanciotto avea uno suo fratello che avea nome Paolo, ch’era bellissimo giovane, onde s’innamorarono insieme Francesca e Paolo. Onde dice che stando un di’ soli in una camera, sicuramente come cognati, e leggendo come Lancellotto s’innamorò della reina Ginevra, e come per mezzo di messer Galeotto si congiunsono insieme; Paolo acceso d’a-