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     El figliol prego de Alchmena,
che in sue man tutto racoglie
mia persona e debil vena,
né mi prive de sue spoglie;
anzi fia quella catena
che di me sola è talento.
          Horamai lieto e contento...

     Onde grazia il cor humile
al figliol rende de Alcmena,
chiar Signore alto e gentile,
quanto può mia debil vena
con lo ingegno et con lo stile,
che sol questo amar consento.
          Horamai lieto e contento...

Anche le ultime battute del dialogo sono in P l del tutto diverse ( 0 . Manca la conclusione di Esopo, comune alle edizz. e a V: « O Re, quanto piú posso te ringratio e con questa mia Lira, « per relation di tal grazie, questa ballatina cantar ti voglio: Ho- « ramai lieto e contento ecc. » ; che è sostituita da questo fervorino finale di Teodoro al papa Leone X: « Et io sapientissimo et hu- « manissimo Pontifice, per non poterme ritrovare alli honorandi « solacci et alle festive cene di Vostra Beatitudine per essere in- « degno, gli chieggo in grati a una sol portione di Ripa per il « vieto mio. Et per rclatione di tal gratia questa mia balatina ac- « cettarete-. e in la felice et sancta sedia usque ad annos Petri « lassare voglio Vostra Beatitudine: Oramai lieto e contento ecc. ». Dunque la barzelletta attribuita sin qui al Nostro, è invece opera di suo figlio? Le parole che ho trascritto in corsivo parrebbero non lasciar dubbio in proposito. Ammenoché non si pensi che Teodoro, il quale, come sappiamo da altre fonti, non era uomo di troppi scrupoli ( 2 ), abbia fatto passare per farina del suo sacco (1) Trascrivo qui in nota la lezione di V> che è anche quella delle edizz., perché chi n’abbia voglia, possa far confronti col nostro testo: « Esopo: O Re vera- « mente fecondo, se io havesse havuto nel petto quella fenestrella che poco inanti « Plauto diceva e tu me avesti di drento mirato, non so se meglio liavesti potuto il « mio concetto risolvere. Re: Esopo mio, da mo’ inanti io ti accetto et voglio che « alle festive mie cene, ne’ piú secreti luochi ove apparecchio, ancora tu te ritrovi ■< insieme con l’altra ornata compagnia >’. (2) A qualche sua marachella giovanile alludeva forse Pandolfo, quando di lui scriveva nel suo testamento: « Teodoro ha il suo patrone, cioè lo Ill.mo mess. Her- cule Bentivoglio, stia con quello e doventi valente omo » (vedi qui, a p. 331). L’affettuoso consiglio non fu da lui seguito: pochi mesi dopo, nell’aprile del 1505, il marchese Gonzaga, al cui servizio era passato per raccomandazione del Da Correggio, lo licenziò perché implicato in un furto di 80 pezzi d’argenteria: cfr. Luzio- Renier, Niccolò da Correggio , in Giorn . Storico , XXI, 238. Piú tardi però mise giudizio: laureatosi in legge e tornato in patria, fu piú volte chiamato ad alti uffici di oratore della Comunitá, di consigliere, di gonfaloniere. Mori ottantenne il 14 novembre 1556 ( Cod . Oliv. Mem. di Pesaro , XII, c. 370). —Probabilmente fu proprio Teodoro che nel 1537 consegnò a un membro della famiglia Onofri da Sasso-