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LETTERE FAMIGLIARI E DI NEGOZI

I

A Cesare Nappi.

Ser Caesar mio. Non essendo usata nostra Birraria veder tal’animali, el m’è parato vedere cose che vengano de l’ultime parte de l’India: et quantunca armati siano e con li calci e morsi cerchino impaurirme, pur attendendo ai ricordi vostri, li usarò tanta dolcezza di latte, che spero farli tornar piacevoli, facendoli vestir di rosso e lavandoli el capo con l’aceto, non senza laude e benedizione del paese dove son nati e del presentator d’essi, che in tutte le sue cose dimostra non aver men gentilezza d’animo che s’avesse colui per chi elio ha el nome. E però il ingraziarvi reputo superfluo, avendo vui fatto cosa non insolita a vostra uma- nitá; quantunca mia bassezza poco el meriti. Non vi gravará però lezer questi pochi versetti, poco maestrevolmente (corno con cele- ritá) composti: Rebus in angustis, Caesar, tua grata voluntas et fuit, et cancris gratior illa tuis: ergo animus, vires, Pandulphus, quicquid in ipso est, cuncta in arbitrio sunt sita nostra tuo.

El dono e ’l donator tanto se estima, quanto sua virtú merta ne l’affetto, se bona voluntá precede prima, corno per fermo tengo nel concetto.

Adonqua altro non dica la mia rima, né vo’ che da ti venga ad altro effetto, se non che dal tuo don, Cesar mio caro, d’amarti et observarti sempre imparo.

[s. d., ma del 1472 o ’73]