Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/284

     Tutto quel che ti fia piacere e grato,

o caro Iacob mio, sia quel che voglia,
dimanda pur, ché mai ti fia negato.
     Acciò che tal promessa meglio accoglia,
dammi la destra mano, et amicizia
tra noi ligamo, che mai piú si scioglia;
     et in segno d’amore e di letizia
questo baso ti dò, né dubitare
che in Egitto ti manchi mai divizia.
Iacob.   Ringrazieria, signor, se ’l lacrimare
il permettesse; ma tu piglia il core,
quel dica e parli, ch’io noi posso fare!
Faraone.   Siedi qui, il mio Iacob, di’ per mio amore,
quant’anni hai tu? ché vecchio pur essendo,
conosco c’hai ancor possa e vigore.
Iacob.   Se bene a la memoria il tempo rendo,
cento trent’anni in terra ho conversato,
pochi e non boni, e poco piú n’attendo.
     Né a li anni de’ mei padri so’ arrivato,
pur di tal sorte vi vero contento,
poi che il mio car figliolo ho ritrovato.
Faraone.   Odi, prefetto, poi che pastor sento
che son tuo padre e i toi, vo’ gli consegni
la terra di Iessén per nutrimento.
     In la terra del Sol tra li omin degni
stará tuo padre, e se fra’ toi fratelli
è alcun che in la sua industria ben s’ingegni,
     fa’ che tra’ mei pastor sian posti anch’elli,
ma primi e soprastanti, perché io vedo
che sono instrutti, e non pastor novelli.
Iacob.   Ti ringrazio, signore, e da te chiedo
ormai licenza. Che tu sii benedetto!
Questo ch’io posso, questo ti concedo.