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che non paia lontano ad un che ’l brami:
ma fatto sempre sia il voler divino!
Ruben. O padre, ecco colui che tu tanto ami!
Ecco il signor Ioseph, ecco che ’l viene
incontra a te il figliol che tanto chiami!
Iacob. O dolce figliol mio, dolce mio bene!
O caro Isepe, o tenero figliolo,
figliol dolce, che in mano il mio cor tiene!
Tant’anni senza te son stato solo,
tant’anni senza te, te ho lacrimato,
tanti per te ho avuto pena e duolo!
Io ti tengo, figliol, cosí abbracciato:
non so se ancor sei vivo o sei pur ombra,
si da doglia e letizia ho il cor piagato!
Ioseph. Superchio gaudio e pianto si m’ingombra,
padre mio dolce, che parlar non posso:
ma tu d’affanno ormai tuo petto sgombra.
Io sono il tuo Ioseph: or sia rimosso
tristizia e pianto, e de’ passati danni
non parliam piú, che troppo ci han commosso;
e col voler di Dio tutti quest’anni,
che restan di tua vita, godiamo
con festa e con piacere e senza affanni.
Ma prima ch’altra cosa noi parliamo,
al nostro re supremo Faraone,
a fargli riverenza, tutti andiamo.
Iacob. Andiam, figliolo, ché mi par ragione;
ma due parole sole io ti dirò
con caritade e senza finzione.
Tu dispensa mia vita, io obedirò,
perché quel che dimostra Dio nel sonno
al fin pur viene e fuggir non si pò.
I decreti di Dio si stabil sonno,
che per potere o industria o sapienza
Fumane genti mai schivar no’ i ponno.