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magre, strinate, sordide e distrutte,
parea che quelle prime seguitasse.
E in su la ripa, in l’erbe verdi e asciutte
parea che queste magre si pascesseno
e divorassin quelle belle tutte.
Vere parean, si come se vedesseno;
io mi svegliai, dappoi raddormentato,
par ch’altre simil cose mi apparesseno.
D’un bel ceppo di grano alto e levato
nascer vedeva sette spiche belle,
col corpo molto pieno e ben granato.
Sett’altre spiche vote e meschinelle,
arse dal vento, appresso ancor nasceano,
e queste brutte divoravan quelle,
che belle e ben granate si vedeano.
Questi due insomni quali io v’ho narrati,
ne le passate notti mi appareano:
voglio che a punto me li dichiarati.
Primo Savio. Osiri et Isi, Anubi e il sacro fiume,
nostri potenti dèi, o Faraone,
sempre ti salvin come nostro nume.
Avemo inteso la tua visione,
e poi che a questi par per cortesia
ch’io dica, ti dirò mia opinione.
Non creda alcun mortai, dotto ch’el sia,
le imagini notturne dei dormienti
interpretarle per filosofia;
perché li insomni son certi accidenti,
nati da cause tanto occulte e strane,
che attinger non li posson li argumenti.
E sono la piú parte cose vane,
però quel che li insomni rappresenteno
non lo debbon curar le menti umane.
Ma perché i dottor nostri in ciò consenteno,
che i cor dei re in man son de li dèi,
e per quest’anco del presagio senteno,