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SCENA II
Faraone e Coppiero.
a me d’Egitto il scettro consignorno
e che in questo mio trono io presi il regno,
i fati e la fortuna mi donorno
molte prosperitá, molte mie voglie
insino a questo tempo contentorno,
e ancor, si come accade, molte doglie
e molte passion per casi avversi,
ché alcun mortai da queste non si scioglie:
e tutti sempre in ben si son conversi,
perché con generoso animo e forte
li ho sopportati in modi assai diversi.
E molti insomni e molte ambigue sorte,
molte apparizion pien di sospetti
ho giá vedute e molte imagin morte:
per niuna mai tanto a pensar mi détti,
nissuna mai mi die’ tanto spavento,
nissuna mai mi tolse i mei diletti.
Due insomni, ch’io son certo han sentimento,
ambidui d’una notte, al cor mi dánno
un gran pensier di strano avvenimento;
non mi lassan posare, e questo fanno,
che a tante varie cose il pensier vólgo,
che’1 dormir, il vegliar, tutto m’è affanno.
Non so se a tema o a speme io mi rivolgo,
non so se bene o mal questo pretenda:
è questa la cagion perché mi dolgo.
Però se alcun di voi gli è che s’intenda
d’esplanar somni, io v’ho qui congregati,
acciò che suo parer ciascun mi renda.