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     Donna superba, altiera, insidiosa,

che se l’amore in odio convertisce,
serpe non fia di lei piú venenosa.
     Quel pover giovinetto non patisce
di fare offesa contra ’l suo signore,
e lei di farla fare, e fare, ardisce.
     Non passerá tal cosa senza errore,
ché questa è furiosa e ’l giovin casto:
comprendo che tal cosa elio ha in orrore.
     Se durerá di farli pur contrasto,
come tigre affamata che non trova
pei piccol figliolin né per sé pasto,
     s’ingegnerá tramar qualcosa nova
per fare il meschinel mal capitare:
vedo che rabbia drento giá li cova.
     Non mi voglio a tal cose ritrovare:
meglio è tornare in casa al mio esercizio,
ché sopra me potria poi ritornare
     qualche calunnia o forsi alcun supplizio.

SCENA V

Ioseph Solo.

     Ahimè, che cosa è questa! quanto ardire,

che ostinato pensier, che sceleranza!
Noi farò mai, vorria prima morire.
     Ahi, ch’abbia il duca in me tanta fidanza,
che non mi tien per servo ma figliolo,
et io facessi tanta disleanza!
     Io m’era posto nel mio albergo solo,
per riveder mei conti e mie ragione:
ecco che mi assaltò, quasi in un volo,
     questa fiera impudica, e si mi pone
le man’addosso senza alcun riguardo,
pur per sforzar mia casta opinione.