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Asser.   Se parlar, padre mio, cosí mi lice,

essendo il padre Dio di tutto autore,
forsi che ’l tuo dolerti a te disdice:
     ché tolto avendo Isep’a te in sul fiore,
par che del suo iudicio ti rincresca.
Guarda che in questo tu non facci errore;
     guarda che un’altra doglia non ti accresca
e questo lamentarti sia cagione
che per altro iudicio il pianto cresca.
     Io ho piú volte udito il tuo sermone,
che quel che forno fa, quel che patisce,
tutto è voler di Dio e promissione;
     et essendo cosí, che referisce
a lui quel che ne avvien di tollerare,
per questo il tuo dolerti ormai finisce.
Iacob.   Assér, l’è iusto e santo il tuo parlare,
e parli il vero: et io cosí ringrazio
la summa provvidenza e ’l suo operare.
     Né per far contra Dio cosí mi strazio,
che ’l tutto sempre al suo bon fin riduce:
ma del mio pianto mi contento e sazio.
     La memoria di Ioseph, che riluce
nel mio intelletto sempre, altro non chiede
e questo è quel ch’a lacrimar m’induce.
     O dolce lacrimar! poi che non vede
l’occhio mio Isep’, almen con questo effetto
la mente mia con l’anima sua sède.
     Dolor, pianto e lamento a me è diletto,
e se m’amate, tòrmi non cercate
quel che sol mi conforta il triste petto.
     Le ragion che per voi sono allegate
da tempo, si, le so, ma da grandezza
del doloroso amor son superate.
     O Ioseph, figliol mio, la tua dolcezza,
o Ioseph, figliol mio, la tua beltade,
o Ioseph, figliol mio, tua giovinezza,