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     La cosa è chiara mo, né piú s’asconde:

credo che morto sia il meschinello.
Morte crudele, che’l mio cor confonde!
     Che avete fatto del nostro fratello?
Son stato a la cisterna, el non compare:
poveretto fanciullo, ornato e bello!
     Ahimè meschino, ahimè che debbo fare?
dove anderò? l’avete forsi morto?
Di vederne vendetta giá mi pare.
Iuda.   Non ti turbar, Rubén, ché aresti il torto:
quel ch’è fatto è pur fatto, ma sta’ certo
che Isep’è vivo e pigliane conforto.
     Vogliam che quel che è fatto ti sia aperto:
passando mercatanti madianiti,
che d’oriente vengon pel deserto,
     noi gliel vendemmo, in questo tutti uniti,
per fare il meglio e cosí via mandarlo,
come di dargli morte giá pentiti.
     Per non far sangue questo è parso farlo,
bastando assai ch’el stia da noi lontano,
e in la cisterna a morte non lassarlo.
Ruben.   A cosa fatta ogni pensiero è vano.
La servitú e la morte, ambe ad un segno
le mette ognun che d’intelletto è sano!
Iuda.   Ma avemo ancor trovato un bell’ingegno
di coprir nostra colpa al padre nostro:
però ti piaccia il nostro bon conseglio.
Gad.   Di Ioseph è la vesta ch’io vi mostro,
io l’ho tinta di sangue d’un capretto:
vedete se sta bene al modo vostro.
     Io l’ho tinta in piú lochi, a questo effetto,
che la parrá d’un corpo lacerato
da le fère selvagge, al primo aspetto.
Iuda.   Ti dirò quel che abbiam deliberato.
Questa vesta daremo a un qualche messo
non conosciuto e ben ammaestrato,