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Giovanni Giuseppe Nicosia — Cinesi, scuola e matematica — Bologna, Italia — 2010
Nel terzo secolo E.v. Liú Huī (刘徽) spiegò che questo metodo funziona perché i due quadrati costruiti sui cateti possono essere traslati, scomposti e ricomposti in modo da costituire un triangolo eguale a quello costruito sull’ipotenusa. Nella sua trattazione l’autore usa toni assai poetici e riferimenti filosofici, richiamando un concetto di equilibrio stabile che con tali eguaglianze sarebbe rispettato. Ecco qui un esempio di meta-regola (Spagnolo, D’Eredità, 2009), (Spagnolo, Ajello, 2008), ossia di schema di ragionamento stabile che funge da principio di validità generale e giustificazione di procedimenti in diversi ambiti. La chiarezza dell’algoritmo seguito e la possibilità di ricondurlo a questi principi sono, in questa impostazione, una strategia di giustificazione teorica. Algoritmi affidabili assumono in questa visione della matematica il ruolo cardinale dei postulati nell’impostazione euclidea. Liú Huī si riferiva inoltre a schemi e figure che non ci sono arrivate che dovevano illustrare i metodi per scomporre e ricomporre i quadrati. La geometria cinese, in special modo quella dell’epoca di Liú Huī, preferisce i confronti tra aree, i procedimenti di scomposizione e le traslazioni laddove il filone euclideo predilige le costruzioni con riga e compasso ed il riconoscimento di congruenze tra figure.


3.2.6 La Scuola Moista (墨家 Mòjiā)

Quella dei seguaci di del Maestro (墨子 Mòzǐ, latinizzato in Micius, 470 – 391 p.E.v.) fu una delle scuole di pensiero più importanti delle Epoca degli Stati Combattenti (dall’VIII al III secolo p.E.v.), dopo di che fu soppressa con l’unificazione della Cina da parte dei Qín (秦朝, quelli che fecero sparire libri e filosofi) che temevano la sua forza come organizzazione politica e movimento d’opinione. Essa era radicata in tutti i maggiori regni in cui era frazionata la Cina in quel periodo ed aveva un’ampia diffusione sociale.

Il suo credo fondamentale era quello dell’amore universale e dell’eguaglianza tra gli uomini, contrapposto al senso di appartenenza clanica ed al bellicismo dei signorotti di quei tempi. Vi aveva un ruolo importante anche una visione epistemologica fondamentalmente empirista per cui le percezioni avevano maggior valore delle astrazioni e delle costruzioni logiche. Una conseguenza in campo morale era il rifiuto della tradizione come guida della condotta personale, che doveva essere ricercata in una riflessione di tipo utilitaristico ma non egoistico simile all’analisi costi – benefici e tesa al benessere generale. Ad esempio lo Stato andava rispettato perché è uno strumento utile, in quanto la vita aggregata ed organizzata è migliore di quella selvaggia retta dalla guerra tra individui e tra gruppi.

Le convinzioni moiste furono tramandate nel canone filosofico Mò Jìng (墨经) redatto intorno al 330 p.E.v. dai seguaci del maestro in cui si parla, oltre che delle istanze fondamentali della sua filosofia, di arte del governo, tecniche agricole, leggi e di molte altre cose.

La geometria e la fisica moista si basavano sulla definizione di punto come pallino microscopico indivisibile (un po’ come per i Pitagorici o gli Atomisti greci) per cui un segmento sarebbe una specie di collanina di punti. Nelle fonti vengono enunciate proposizioni simili a quelle euclidee sui segmenti e sulle rette, in particolare sulle lunghezze di segmenti e sul parallelismo, sullo spazio e sui piani paralleli o meno. Nel Canone ci sono definizioni di geometria piana (circonferenza, diametro, raggio) e solida e diverse proposizioni di ottica e meccanica. Si dice tra l’altro che il moto cessa se c’è opposizione tra forze, altrimenti continua sempre.

Secondo i Moisti un’opinione era corretta se basata sull’analisi storica, sull’esperienza comune, sull’utilità politica o legale. Si sa che essi avevano sviluppato una forma di logica, probabilmente assai diversa da quella aristotelica, per risolvere problemi linguistici e di interpretazione. Dopo un primo