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Nella porta della Chiesa di S. Pantaleo abbiamo forme in cui la struttura toscana s’accoppia a decorazioni di carattere lombardo.

Le lunette racchiuse dall’architrave e dall’arco di scarico sono usualmente liscie: in S. Pietro di Sorres e in S. Maria del Regno di Ardara lo sfondo cupo del nero basalto è rotto da candide croci di calcare: in S. Gavino di Torres e in S. Pietro di Bulzi sono scolpiti in piccolo rilievo alcune figure, che, eseguite rozzamente, paiono concepite da menti puerili. Nelle porte della Cattedrale di Cagliari gli architetti ottennero effetti gradevoli, intarsiando le lunette delle porte con frammenti d’arte pagana e cristiana.

Le finestre aperte nelle chiese sarde, sono bifore o trifore quando campeggiano nelle facciate, di cui costituiscono il miglior ornamento, ma riduconsi ad una semplice feritoia, più o meno ornata, nei fianchi e nelle absidi.

Nelle finestre polifore si ha una struttura organica, in cui ogni elemento architettonico adempie ad una funzione statica, al contrario delle finestre gotiche e del rinascimento, in cui colonnine e trafori hanno unicamente un còmpito decorativo tanto che si possono togliere senza alterare la compagine dei muri. Non così nelle finestre romaniche sarde, nelle quali gli archi girano per l’intero spessore, gravitando sopra le colonnine, sormontate da pulvini, che nella parte inferiore si accorda ai collarini dei fusti, allargandosi nella parte superiore con i capitelli, fino a raggiungere lo spessore dei muri.

La massima sobrietà, non scevra di una tale quale tetraggine, costituisce la nota dominante degli interni delle chiese medievali sarde. Non ravvivano le pareti le decorazioni, ricche di colori e di mosaici delle chiese dell’altra isola a noi vicina, non marmi preziosi quali si ammirano nelle chiese toscane, alle quali le cave di Carrara, di Siena e di Prato diedero coi tersi paramenti il fascino delle loro tinte, non la ricchezza dei fondi dorati, ma il semplice rivestimento in pietra da taglio, raramente rotto da pitture a bon fresco, imprimente una nota d’austerità alle oscure navate.

Questa semplicità, che nelle chiese del periodo più fiorente contrasta colle ornate pareti esterne, rispecchia le condizioni economiche dei giudicati.

Le cave numerose di arenarie, calcari, trachiti e graniti fornivano belle pietre da taglio dalle diverse gradazioni di tinte, e le foreste, fiorenti nelle brulle pendici dei nostri monti, mettevano a disposizione dei costruttori la quercia rovere per i coperti. Con questi materiali, che i giudici i magnati e le corporazioni monastiche aveano a mano, e

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