Pagina:Chiese medievali di Sardegna.pdf/10

ma tutto c'induce a ritenere che la costituzione di quattro giudicati autonomi sia stata l’ultimo risultato di un periodo convulsivo di lotte.

Con l'ultimo sprazzo dell’influenza di Bisanzio cessò ogni attività artistica e intellettuale, ma dopo qualche secolo, da prima timidamente e poscia con ritmo sempre più crescente, s'innestano sulle rovine dell'ordinamento orientale nuove forme di un'arte che ci ricollega alla civiltà latina sopìta ma non spenta.

Già dal 1087 il pontefice Vittore III rivolgevasi a Giacomo, arcivescovo di Cagliari e ai presuli dell’isola, per dolersi dello stato rovinoso delle chiese sarde e per esortarli a dar maggior impulso alle costruzioni di carattere religioso.

Il mònito che proveniva dalla cattedra di S. Pietro non fu pronunziato invano: troppo erano attaccati alla fede di Cristo i giudici e gli stessi sardi per non apprezzare così autorevole consiglio. Ed il paesaggio severo della nostra isola si popolò di chiese e di monasteri, dai quali i religiosi scendevano cogli strumenti di lavoro nelle campagne rigogliose. Furono da prima edifici che ancora rispecchiavano la terribile agonia in cui s'era dibattuta la nostra isola, tetre chiese romaniche molto spesso solo rivestite di cantoni in pietra da taglio; ma ai primi del XII secolo, quando un alito rinnovatore viene, per opera dei pisani e dei genovesi, a dar nuova vita alle vicende isolane, e quando, al contatto delle fresche e già vigorose energie delle due fiorenti città marinare, si modificano le costituzioni, s'aprono ai traffici i porti della Sardegna e il tratto del Tirreno intercedente fra l’isola e la madre patria, ormai sicuro, è percorso intensamente da navi per lo più pisane e genovesi, pari a questa rinascita d'energia l'architettura religiosa ha un risveglio meraviglioso: maestranze d’artefici toscani, chiamate dalla pietà dei giudici, portano nelle nostre vallate e nei nostri campidani la poesia e l'eleganza di quell’arte che fiorì nelle rive dell'Arno, e, sotto la guida di questi costruttori, le tetre chiese romaniche si trasformano, le facciate s'inghirlandano di gallerie e di colonnine, gli sfondi parietali si coprono d’intarsi minuti, da rivaleggiare coi sontuosi tappeti d'Oriente, e sulle rudi e liscie ossature si stende una delicata trama di forme decorative. È tutto un fiorire di belle chiese colle quali le maestranze, mandate da Pisa, sciolgono veramente nelle nostre terre il più bel canto per la gloria e per l’arte della loro città, che, gentile intermediaria in questa rinascita, ancora una volta riunisce noi isolani alle genti italiane in unico sentimento ed in unico nome.

Queste leggiadre costruzioni di puro carattere romanico-toscano, al contatto delle prime forme gotiche, subiscono alla fine del XIII secolo

[6]