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all’intorno, e tutto insieme chiamavasi una riforma. Talora, morto appena il riformatore, talora anche prima, la riforma cadeva nella corruzione universale; tal forza era in questa! Ma allora risorgeva un altro riformatore, un altro monastero, un’altra riformale ricorrotta questa, un’altra ed un’altra, finchè durò la corruzione universale, ed anche oltre. Intanto, or nell’uno or nell’altro chiostro, la virtù s’era serbata; e n’usci intorno alla metà del secolo uno stuolo, una schiera di uomini, che io non so come io chiami: grandi santi, grandi filosofi, grandi riformatori ecclesiastici, o grandi politici, perciocchè furono tutto ciò; Pier Lombardo, Lanfranco, sant’Anselmo da Aosta, uno o due altri Anselmi, san Pier Damiano, Annone di Colonia, e finalmente Ildebrando cioè san Gregorio VII. Il quale fu il più grande, ma non il solo grande, fu il principe di quello stuolo già formato, fu il raccoglitore e propagatore delle frutte seminate da altri; grande ingegno senza dubbio ma più gran coscienza, gran politico ma pontefice anche più grande. Ed egli e tutti gli altri insieme furono i risanatori della corrotta Cristianità in generale, ma della corrottissima Italia in particolare; non solamente perchè dall’Italia nacquero i più di essi (come è facile vedere dai nomi citati); ma sopratutto perchè a risanar Roma, a restituir ivi primamente