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capo settimo | 75 |
della grandezza austriaca lungo le falde settentrionali dell’Alpi, quel Danubio dove sono oggi ancora la sedia e i destini di lei. Quindi era bella all’Italia l’occasione di conquistar quel poco che le mancava d’indipendenza; di far passare in diritto ciò che ella aveva quasi intiero in fatto. Ma ella si contentò di godere ciò che n’aveva senza cercare il rimanente. Nè i Papi talor grandi, nè Cosimo e Lorenzo de’ Medici i più grandi uomini di stato di quel secolo, non pensarono guari all’avvenire della patria. Lorenzo stesso, l’autore della confederazione da noi lodata, non pensò a compiere nulla, ma solamente a conservare; e non pensò che non si conserva mai nulla bene, che non sia perfetto. L’Italia dopo due secoli di coltura, dopo quattro d’indipendenza quasi compiuta, non s’era maturata a compierla, a carpirne l’occasione. E l’indipendenza incompiuta, lasciò l’Italia aperta a qualunque nuova, ed anche menoma intrusione straniera.
11. La venuta di Carlo VIII sovverti l’Italia al momento in che, sgombra di stranieri e confederata, ella potea parer più vicina a condizione di vera e grande nazione. E quindi sono giuste, naturali, e volgari le invettive contro a quel re di mente ed ambizioni leggiere, contro a’ Francesi che leggermente il seguirono, contro agli Italiani che lo chiamarono scelleratamente. Ma