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considerano le cose secondo che sono, e la poetica secondo che s’imaginano? Or veggiamo se, stando queste avertenze, le quali sono d’Aristotile e non vostre, il Caro ha fatto bene o male a fingere che i gigli di Francia siano piú grandi che gli ordinari. E come non ha ben fatto, se la poesia ha tutti questi privilegi ch’avete uditi? Se questi gigli sono descritti, non come son gli altri, ma come par che debbano esser quelli, che rappresentano una casa reale? Se gli ha finti, come finse Vergilio che fossero quelli di Silvano? Se gli ha voluti far piú degni d’ammirazione e di lode? Se questo s’ha proposto per fine della sua canzone? Se tien la consuetudine de’ pittori, e di Zeusi spezialmente, di dar loro maggior maniera del naturale? Se questo o non è peccare, o è peccar per accidente, e in meglio, per avanzar l’essempio, come Zeusi faceva? Se questa grandezza de’ gigli, e questa impossibilitá che voi dite d’accór le muse, si posson dare alla natura della poesia, a certo suo vago modo di dire ed all’openione della casa significata da loro? E, ultimamente, se parla secondo l’andar dell’arte poetica, e non secondo quello dell’altre professioni? Che ne dite ora? Ha fatto bene o male? Non vedete voi ch’avete presa la matematica in iscambio della poesia? Non v’accorgete che questa non va con la misura delle seste, ma con lo smisurato, con gli eccessi, e con l’impossibile ancora, cosi crescendo, come diminuendo, e massimamente nel genere demostrativo?

Castelvetro — Opposizion III

«Ai nostri idoli». Senza consolazion di parole, è gran vanitá. Non cosi fece il Petrarca, che in mala parte disse:

Non fate idolo un nome vano...

E in buona parte, consolandolo:

L’idolo mio scolpito in vivo lauro.

Ma, se non intende l’artificio del Petrarca, non ne posso altro.