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cielo? Se qui volete dar corpo alle muse, convien che lo diate anco ad Amore, lá dove il Petrarca gli fa dir di sé:

Si l’avea sotto l’ali mie condutto, ch’a donne e cavalier piacea ’l suo dire.

Percioché, secondo voi, bisognava che ’l Petrarca fosse assai men che di schiatta pigmea, a star sotto Pali d’un fanciullo. E dove dice:

Amore, e quei begli occhi ove si siede all’ombra,

come il medesimo fanciullo può stare sotto l’ombra degli occhi di Laura? e che ombra è quella che gli occhi fanno? E quando disse:

Un lauro verde, una gentil colonna, quindeci l’uno, e l’altra diciott’anni portato ho in seno, e giammai non mi scinsi,

per salvar questa vostra proporzione, non sarebbe necessario che facesse se stesso maggior di quel Tizio, che si stendeva per tanti iugeri di terra? o che quella colonna fosse un fuso, e quel lauro una ciocca di finocchio? Quando scrisse poi del medesimo lauro, che Amor glielo piantò nel mezzo del core, quanto era picciola la pianta? quanto era grande il core? e come fece Amore a piantarvela? E, quando Anacreonte fa dire a quella sua colomba, che «lo copriva con le sue ali», non bisognerebbe pensare, secondo voi, o che egli fosse assai piú picciolo della colomba o che la colomba fosse assai maggior di lui? E, quando Euripide in un loco induce Iolao e nell’altro Megara a dire «d’avere i figliuoli d’Èrcole sotto l’ali loro», che v’imaginate che fossero chiocce e pulcini forse? che ali sono quelle che dá loro? e come quei figliuoli ci possono star, pur secondo la vostra proporzione? Ma che piú? Quando Eschilo fa che gli ateniesi tutti siano «sotto l’ali di Pallade», come (secondo voi) vi si possono ricoverare, se fossero ben pedicelli, non che pigmei? E per finirla: Omero non fa quasi questa medesima invocazione del Caro, quando, volendo scrivere la guerra de’ ranocchi