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A. C.) ho condotto la ristampa presente, studiandomi di emendar qualche errore incorso nelle precedenti edizioni del rifacimento, al quale, giova ripeterlo, mancarono le ultime cure del traduttore.

Opera dunque imperfetta, «giovanile e non finita anche di limare e di pulire», come la giudica il Leopardi, fu stampata soltanto nel 1784 a Parma, coi tipi del Bodoni; e la stampa fu condotta sur un manoscritto non autografo che, trasportato, con altre carte, dalla biblioteca dei Farnesi a Napoli, fu da Francesco Danieli regalato al marchese di Breme, ministro plenipotenziario a Napoli del re di Sardegna. Il Di Breme fece stampar la versione dal Bodoni in numero di soli cinquantacinque o cinquantasei esemplari, che mandò poi in dono a letterati e ad amici, come ricorda lo stesso Bodoni in una nota, rinvenuta e pubblicata da Emilio Faelli nel Bibliofilo , vii, 1886, pp. 83-84 {Del ms. che servi all’ediz. princeps della trad. di A. Caro da Longo sofista e di alarne inesattezze di vari bibliografi intorno a tale edizione’).

Il rifacimento del Caro fu ripubblicato coi tipi bodoniani nel 1793 e in num. di duecentocinquanta esemplari; poi a Parigi nel 1800, e a Firenze (Molini) nel 1811. Da quest’ultima ristampa, a cura di Sebastiano Ciampi, derivò quella dei classici del ’i2 ricordata, la quale contiene, due versioni del Supplemento scoperto dal Courier: l’una del Ciampi, l’altra di Alessandro Verri.

Delle piú recenti edizioni fattene, integrali o parziali, ricordo quella elegantissima di Firenze, Borghi, 1828; quella curata da Eugenio Camerini, Milano, Daelli, 1862; quella curata da Felice Martini, Firenze, Barbera, 1885; quella che fa parte della Biblioteca economica Sonzogno (n. 41) a cura di Francesco Costerò; e le due scolastiche comprese nelle scelte cit. di scritti cariani dello Sterzi e dello Spadolini.

Avverto, infine, che a principio del quarto ragionamento, ove si parla del giardino di Lamone e ove il testo greco dice, èxxèzazo gèv ecg axaStou [ryptog, STtéxsixo S’sv sopoc; sxoiv

TiÀs&ptov TsxTáptov, il Caro lasciò in bianco la corrispondente misura italiana, integrata cosi dagli editori primi dell’opera: «d’una lunghezza di braccia trecento e di larghezza di dugento».