Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/332

che cosi di natura tessute fossero, parevano pure ad arte intrecciate. Eranvi ancora diversi compartimenti di fiori; altri dalla natura prodotti, ed altri dall’arte trasposti. Gli artificiosi erano come le rose, i giacinti, i gigli; i natii come le viole, i narcissi e le terzanelle: insomma v’erano l’ombre della state, i fiori della primavera, le delizie dell’autunno e tutti i frutti di tutte le stagioni. Avea una veduta bellissima, che scopriva di sopra una larga pianura, per onde si vedevano pastori assai ed animali che pascevano; scorgevasi il mare ed i marinari che navigavano; e questa era una delle dilettose parti del giardino. Nel mezzo appunto della lunghezza e della larghezza di esso, era un tempietto sacrato a Bacco, il cui altare era circondato d’ellera, siccome il tempio di viti. Dentro di esso tempio erano dipinte tutte le istorie di Bacco, il parto di Semele, il seggio di Arianna, Licurgo legato, Penteo smembrato, la vittoria contro gli etiopi, la trasfigurazione de’ tireni, e per tutto satiri che scherzavano, bacche che saltavano, e Pane che, sopra un sasso sedendo, parea che comunemente sonasse a quelli che pigiavano e a quelli che saltavano. Questo tal giardino coltivando Lamone, tagliava quel che v’era di secco, sollevava i capi delle viti, radeva i viali, spianava, nettava, e di tutto, che mestiero gli facea, lo rabbelliva. Avea l’acqua per una fontana, che Dafni avea giá trovata per uso de’ fiori; ed, avvenga che pe’ fiori servisse, pur del nome di Dafni si chiamava. Inoltre comandò Lamone ad esso Dafni che facesse ogni opera per ingrassare le sue capre, percioché il padrone s’incontrerebbe in qualche loco a vederle: di che egli, sperando di doverne lode acquistare, tutto contento si stava, percioché n’avea la metá piú di quelle che da prima consegnate gli furono. Il lupo non glien’avea mai scemata pur una del novero, e di grassezza ancor le pecore avanzavano: pur nondimeno, per farsi il padrone ancora piú favorevole alle nozze, vi poneva una cura ed una sollecitudine assai maggior che non soleva: le cacciava la mattina a pascere a miglior otta che prima; in sul mezzodi le rimenava, e due volte il giorno l’abbeverava; menavaie a certe pascione sciolte fra macchie e greppi, dove fossino delle corbezzole, del