Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/304

e la pelle, con le corna suvvi, nel pino, appresso alla statua di Pane la conficcarono, usata offerta dei pastori al pastorale dio. Gli dieron poi le primizie della carne, gli offersero una maggior tazza di vino; cantò la Cloe, sonò Dafni: e, giá per il prato a mangiare adagiandosi, eccoti per avventura sopravvenir Fileta bifolco, che portava per offerire a Pane certe sue ghirlandette e certi grappoli d’uva co’ pampani ancora in su’ tralci. Seco veniva Titiro, suo figliuol minore, un fanciullo, il quale era bianco e biondo, e scherzava e camminava leggiermente, e saltava come un capretto. E, sagliendo ambedue insieme, incoronarono la statua di Pane, ed appesero i tralci con l’uve ai rami del pino; poscia, assentatisi ancor eglino, si misero a pranzo con esso loro. E, come è solito de’ vecchi, che di natura sono la piú parte beoni, riscaldati che furono dal vino, vennero tra loro a diversi ragionamenti de’ tempi passati, e si vantavano, chi d’essere stato buon pastore quando era giovine, chi d’essersi salvato molte volte da’ corsari, chi d’essere un grande ammazzator di lupi, chi il primo cantore e ’l primo toccator di sampogna che fosse, da Pane in fuori. Questo vanto cosi magnifico fu di Fileta, col quale egli destò grandissimo desiderio in tutti di sentirlo; perché Dafni e la Cloe in tutti i modi lo pregarono che facesse lor parte di tanta maestria e che onorasse col suo canto la festa di quel dio, a cui tanto la sampogna aggradava. Fileta ne fu contento, quantunque molto si scusasse per la vecchiaia di non aver petto abbastanza; e presa la sampogna di Dafni, non prima l’ebbe tastata, che, non le parendo della sua grand’arte capace, spacciò subitamente Titiro, l5Sr la sua, alle sue stanze, poco piú d’un miglio lontano. Titiro, spogliatosi in un tempo del suo tabarretto, si mosse a correr per essa ignudo, che parve un cerbiatto. In questo mentre Lamone, per intrattenerli, s’offerse di raccontar loro una favola, che apparò giá a vegghia da un caprar di Sicilia; e prese cosi a dire: — Questa sampogna, che ora è stromento, non era prima stromento, ma una vergine, bella, musica, guardiana di capre e compagna di ninfe: colle ninfe giocava, a lor presso pasceva, e con esse, come oggi suona, allora cantava. Pane un giorno, mentre ch’ella pascendo, giocando e cantando si stava, sopravvegnendola, tentò