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che, dietro a certe ginestre mettendosi, poi di cespo in cespo aggirandosi e spesso rivolgendosi, se ne giva leggiermente saltellando, e come scegliendo sentiero da non vi lasciar pedata, donde potesse dal suo pastore essere ormata. Né mai d’occhio perdendola, per il medesimo foro guardando per onde immacchiata s’era, la vide che, subito recatasi sopra il bambino, gli porse da poppar tanto che sazio lo vedesse: poscia, a guisa d’innamorata madre, ora belandogli intorno ed ora leccandolo, parea che teneramente lo vagheggiasse. E meravigliandosi, come dovea, si trasse dentro la macchia, e, trovandolo maschio, fresco, colorito e bello, gli parve tra quelle erbe un fiore, e di gran legnaggio tenne che fosse, veggendolo involto in arnesi piú orrevoli, che alla fortuna d’un che in abbandono fosse gittato non si convenia; percioché egli aveva indosso una vesticciuola di scarlatto, al collo una collana d’oro ed a canto un pugnaletto guarnito d’avorio. Pensò Lamone in prima di tór solamente gli arnesi e lasciare il bambino; poscia, vergognandosi che una capra lo vincesse d’umanitá, aspettando la notte, condusse ogni cosa a Mirtale, sua moglie: gli arnesi, il bambino e la capra stessa. Restò Mirtale tutta stupefatta, e, domandandogli se le capre partorivano bambini, egli le raccontò tutto il fatto: come esposto l’avesse trovato, come nutrito l’avesse veduto e come si vergognasse a lasciarlo che morisse. Poi, di comun parere ordinato di celare i contrassegni e di tenere il bambino per lor figliuolo, fecero vezzi alla capra; e perché il nome del putto paresse pastorale, sempre da indi innanzi per Dafni lo chiamarono. Di poi due anni che questo fu, nel contorno medesimo un pecoraro, Driante nomato, s’abbatté per avventura ancor egli a vedere e trovare una cosa simile. Era dentro al suo pascolo una grotta consacrata alle ninfe, cavata d’un gran masso di pietra viva, che di fuora era tonda e dentro concava: stavano intorno a questa grotta le statue delle ninfe medesime, nella medesima pietra scolpite; avevano i piedi scalzi insino a’ ginocchi, le braccia ignude insino agli omeri, le chiome sparse per il collo, le vesti succinte ne’ fianchi, tutti i lor gesti atteggiati di grazia e gli occhi d’allegria, e tutte insieme facevano