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turchi per beneficio delle sue galere; e questo scelerato ha tanto ardimento d’occuparmi la libertá che mi vien da si gran principe, e di tenere insieme col mio corpo sepolta la gloria sua.

Procuratore. Certo si, che questo è caso enorme e compassionevole: lassate far a me, figliuola, ché sarete consolata. Entrate per ora in casa di questa gentildonna romana, ché sarete come tra i vostri medesimi. Io ho data la posta a certi miei clientoli in casa: voglio andar prestamente a spedirli; e tornerò subito per intender il caso vostro e per aiutarvi. Va’ su tu con lei, e prega madonna Argentina da mia parte che le dia ricetto e che non la lassi cavar di casa fin che non le parlo.

SCENA V

Procuratore, Mirandola, Giovanni, Battista (straccioni).

Procuratore. Io stupisco dell’audacia de’ tristi. Vedete cose che s’arrischiano a fare, si può dire, in sugli occhi del principe, e d’un principe come questo.

Battista. Oh! ecco di qua il nostro procuratore.

Procuratore. E se non ho procurato oggi per voi, non mi chiamate piú di questo nome: io andava ora per aspettarvi in casa.

Battista. Avete pur ottenuto il mandato contra Tindaro?

Procuratore. Oh! questo s’ebbe, e fu dato al bargello, ché l’esseguisse un pezzo fa.

Battista. E che altro avete fatto per noi?

Procuratore. Che piú potete desiderare che ’l fin della vostra lite?

Giovanni. Avemo avuto la sentenza in favore?

Procuratore. In favore.

Giovanni. Oh! lodato sia Dio. O messer Rossello, valentuomo !

Battista. O messer Rossello nostro, e che voleva dir quel sequestro del Mirandola?