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ATTO III

SCENA I

Pilucca, Satiro, Demetrio.

Pilucca. Marabeo non comparisce ancora con questa provisione: saria ben bella che, per empire il corpo della padrona, mi perdessi l’empitura del mio. Ma ecco di qua Demetrio. Lo voglio aspettare per chiarirmi se ’l buon Cerbone m’ha servito di piantarli quella carota; e, se non fosse bene entrata, gliene darò una calcatella gentilmente.

Satiro. Cacasevo! Va’; piglia moglie a Roma tu.

Pilucca. Ma se glie l’ha piantata!

Demetrio. Vedova giá sette anni, ed è pregna.

Satiro. Fatemi questo latino in volgare.

Demetrio. Satiro, io dubito che questo non sia uno stratagemma per distornar questo’parentato: a crederlo senza riscontro, saremo corrivi; a riscontrarlo, non avemo tempo, se le nozze non s’indugiano; indugiarle senza Gisippo non possiamo. Se diciamo questa cosa a lui, l’affligemo e lo distogliemo da questa ventura affatto, quando non fosse vero. Se è vero, e non gliene diciamo, e le nozze si faccino, lo mandiamo al macello e lo disonoriamo per sempre. Che faremo, Satiro? Noi l’avemo messo in questo labirinto, e noi ne l’avemo a cavare.

Satiro. Non diciamo, se vi pare, a lui della pregnezza, e domandiamo da noi l’indugio delle nozze per questa sera. Di poi, di cosa nasce cosa. Io andrò tanto buscando, che me ne chiarirò ben io.

Demetrio. Questo sarebbe il tratto, se ti bastasse l’animo di ottenerlo.