Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/194

d’arrosto, pagò di suon di quattrini, in cambio delti cinquantamila ricevuti da essi in parole, fará recuperar loro li trecentomila in comedia. Il medesimo fa del senno; perché, come è tenuto da loro per grande, cosi vuole che voi abbiate essi per savi. Queste due fantasime con tre cose hanno dato il nome e il soggetto a questa comedia: con una lite che fanno con i Grimaldi, con una figliuola che hanno lasciata a Scio, e con una nipote che non sapevano d’avere a Roma. Gli scompigli, gl’inganni, le gelosie, le quistioni, le paure che vi nascono, come si scuoprono, come si acquetano, si vedrá nel procedere. Bastivi per ora a sapere che di questi tre semplici principali si fanno molte varie e quasi incredibili mescolanze di diversi accidenti di fortuna, di diverse nature e consigli d’uomini di piú condizioni: di morti che vivono, di vivi che son morti, di pazzi che son savi, di vedovi maritati, di mariti che hanno due mogli, di mogli che hanno due mariti. Vi sono spiriti che si veggono, parenti che non si conoscono, familiari inimici, prigioni liberi, e altre cose assai, tutte stravaganti e tutte nuove. Questo argomento, cosi interzato, moverá forse troppo la colera a questi stitichi, perché scempio o doppio solamente è stato usato dagli antichi nelle lor comedie. Avvertite che, se ben non si truova essempio che sia stato fatto, non si truova anco divieto che non si possa fare; anco s’è mosso a farlo con qualche ragione. La favola pecca di tre sorti umori: uno argomento non gli muove, due non gli risolvono, il terzo gli vacua ed è ristorativo, perché è di materia piacevole: e non è fuor di proposito, perché ciascuno di questi casi fa per se stesso comedia e ha le sue parti, e tutti tre sono intrecciati per modo che l’argomento è tutt’uno. Mancar di vizio e abbondar d’arte merita lode; ma egli si contenta di non averne biasimo. Nell’altre cose ha seguitato l’uso degli antichi; e, se vi parrá che in qualche parte l’abbi alterato, considerate che sono alterati ancora i tempi e i costumi, i quali son quelli che fanno variar le operazioni e le leggi dell’operare. Chi vestisse ora di toga e di pretesta, per begli abiti che fossero, ci offenderebbe non meno che se portasse la berretta a taglieri e le calze a campanelle, perché gli occhi, gli orecchi e ’l gusto degli uomini sono sempre acconci a quel che porta l’uso presente. L’autore vorrebbe ch’io vi dicessi ancora molte cose a sua giustificazione; ma questo avete a sapere brevemente: che egli conosce d’aver dura impresa alle mani e che per obedienza s’è messo a farla, non per prosonzione.